Eversione? Apologia? Gli asiatici vogliono il nazi chic più che il nazismo

Giulia Pompili

Due cinesi arrestati al Reichstag col braccio alzato

Roma. A leggerla da qui, la notizia dei due ragazzi cinesi arrestati davanti al Bundestag – il vecchio Palazzo del Reichstag – per essersi fatti un selfie con il braccio destro alzato, beh, verrebbe da dire: ve l’andate a cercare. In alcuni luoghi certe cose non sono accettate nemmeno per scherzo. Certo, i due cinesi se la sono cavata con poche ore al comando della polizia locale e 500 euro a testa di multa, e probabilmente una lunga spiegazione sui gesti anticostituzionali che rievocano ideologie e carneficine. Il fatto è che non è la prima volta che gli asiatici si scontrano con quella che noi chiameremmo l’apologia di nazismo, ma che per loro è forse, semplicemente, una rievocazione esotica di uno show militare tutto sommato apprezzabile. Il Nazi chic.

 

Nel dicembre scorso una scuola a Taiwan aveva organizzato una vera parata militare in stile nazista, e le foto finite online avevano girato i social network di mezza Europa. La stessa cosa era successa in Tailandia qualche anno prima, con alcuni ragazzi perfettamente calati nella parte di un battaglione nazista.

 

Si dice che a inventare il Nazi chic, cioè ad aver trasformato alcuni tra i più famosi simboli del nazismo in un elemento sovversivo e provocatorio, sia stato l’occidente stesso. Nella fattispecie, il movimento punk inglese. E’ il 1976, siamo a Oxford street, a Londra, e c’è un locale dedicato al jazz, il 100 Club, dove Ron Watts e l’allora produttore dei Sex Pistols, il celebre Malcolm McLaren, decidono di dedicare due giorni a una specie di festival dedicato a otto band che fino ad allora si erano mosse nell’underground. Sul palco ci sono i Sex Pistols, ma pure i Clash, i Damned, i Buzzcocks, c’è Siouxsie Sioux. Alcuni di loro indossano una fascetta nazista sul braccio destro. Ed è colpa di McLaren, che è ebreo, ma subisce il fascino dei simboli proprio come la sua fidanzata dell’epoca,Vivienne Westwood – i due daranno il via a un grande sodalizio non solo sentimentale che trasformerà poi l’estetica punk. Nel 1976 il primo ep dei Joy Division “An Ideal for Living” aveva sulla copertina un giovane nazista che suona il tamburo. Qualche anno prima in America erano stati gli Stooges a portare sul palco le divise naziste, e poi ci furono i Ramones con “Blitzkrieg Bop”. Per il movimento punk della fine degli anni Settanta non c’era nulla di celebrativo nella rievocazione di alcuni simboli: l’obiettivo esplicito era proprio quello di provocare una reazione, esorcizzare le paure della generazione che aveva subìto la Seconda guerra mondiale. In Asia tutto questo, invece, non ha mai avuto alcun tipo di significato. In Giappone la guerra ha sempre avuto il volto dell’impero, e ovviamente il suo simbolismo – la bandiera era diversa, ricordate? Ora non ci sono più i raggi del sole. E’ anche per questo che l’estetica nazista non ha mai suscitato molta indignazione, anzi: vanno fortissimo i locali con i riferimenti a Hitler, e le divise delle Ss vengono vendute perfino nei grandi raduni di cosplayer. E anche qui è la musica a lanciare la moda: lo scorso anno la Sony si è dovuta scusare per il dress code nazista delle sue Keyakizaka46, e le 5.6.7.8’s già da tempo vestivano con le divise delle Ss. Del resto in Giappone, nella simbologia delle mappe turistiche, la svastica ha sempre indicato la posizione dei templi scintoisti – proprio per il suo antichissimo significato sanscrito. Ma qualche tempo fa il governo è stato costretto a cambiare i simboli, specialmente nelle mappe in lingua straniera, “per evitare di offendere i turisti”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.