Un elicottero dell'esercito afgano sorvola l'ambasciata irachena di Kabul attaccata da un commando dell'Isis (foto LaPresse)

Kabul dice che l'Isis vuole portare la guerra dall'Iraq all'Afghanistan

Luca Gambardella

Washington resta scettica e dice che non ci sono prove. Piuttosto, il problema di Trump resta sempre lo stesso: come e quando ritirare i suoi uomini dal paese?

Roma. Lo Stato islamico ha rivendicato due attentati in Afganistan che hanno riaperto il dibattito sulle forze effettive su cui il Califfato può contare nel paese. I due attacchi sono quello suicida di lunedì scorso all'ambasciata irachena di Kabul, in cui sono morti solo i quattro assalitori, e quello di martedì alla moschea sciita di Herat, dove le vittime sono state invece 29 e 63 i feriti. La scelta degli obiettivi colpiti – a distanza di poche settimane dalla caduta di Mosul, in Iraq – e un documento riservato dei servizi di sicurezza afgani visionato da Reuters, hanno dato nuovo vigore alla tesi già esposta più volte dall'intelligence di Kabul: i combattenti dell'Isis in Afghanistan in questi mesi aumentano per numero e per mezzi a disposizione.

 

Il dossier dei servizi afgani dice che gli uomini del Califfato sono presenti in 9 province, da quelle orientali di Nangarhar e Kunar fino a Jawzjan, Faryab, Badakhshan e Ghor. Un portavoce del ministero della Difesa afgano ha detto che "quest'anno assistiamo a un aumento di nuove armi nelle mani dei combattenti e a un numero maggiore di foreign fighter". Questi ultimi, ha continuato il portavoce, sono reduci dai combattimenti in Iraq e Siria che, attraversando l'Iran, sono arrivati in Afghanistan. E' qui, sempre secondo la tesi di Kabul, che l'Isis intende spostare i propri avamposti e fare nuovi proseliti.

 


Una mappa delle province dell'Afghanistan. Cerchiate in rosso quelle dove, secondo le forze di sicurezza del paese, aumentano le reclute dell'Isis


 

I servizi di sicurezza di Kabul hanno stimato in 7 mila il numero di foreign fighter in Afghanistan, senza peraltro distinguere tra quelli che si sono arruolati con l'Isis o con i talebani. La maggior parte dei combattenti proviene dai paesi limitrofi, Pakistan, Uzbekistan e Tajikistan. La novità è che ora, secondo Kabul, i nuovi arrivati sono molto più pericolosi perché provengono dalle prime linee che hanno combattuto in Siria e Iraq.

 

La versione dei servizi afgani non trova conferme e il comando americano, negli ultimi mesi, ha sempre ridimensionato l'allarme lanciato da Kabul. Secondo gli americani, il gruppo Khorasan, quello dei combattenti affiliati all'Isis e attivi in Afghanistan, è composto soprattutto da pakistani. Di più, il consigliere alla sicurezza nazionale americana, H. R. McMaster, ha espresso diversi dubbi sul ruolo del Pakistan, sospettato da tempo di fare da porto sicuro per i terroristi islamisti. Per questo, lo stesso McMaster ha pressato il presiedete Donald Trump affinché gli Stati Uniti adottino una linea più punitiva nei confronti di Islamabad (che ricevono ricchi finanziamenti proprio da Washington per combattere i combattenti islamisti). Lo scorso aprile, il comandante della Nato in Afganistan, generale John Nicholson, aveva ammesso che l'Isis in effetti "aspira" a portare i combattimenti dalla Siria all'Afghanistan, ma che questo "non è ancora successo". La versione di Washington è che i miliziani dell'Isis nel paese sono diminuiti grazie all'utilizzo di droni. Due settimane fa, uno di questi ha ucciso Abu Sayed, il capo dello Stato islamico in Afghanistan, nella provincia di Kunar. Un colpo molto importante, l'aveva definito il Pentagono, "che indebolirà in modo significativo il gruppo terroristico e i suoi piani di espansione nel paese". Prima ancora, ad aprile, gli americani avevano lanciato la super bomba MOAB (ribattezzata "la madre di tutte le bombe") nella valle di Achin per distruggere un intricato sistema di passaggi sotterranei usati dai combattenti islamisti.

  

Se gli Stati Uniti restano scettici sul rischio di un nuovo fronte in Afghanistan con l'Isis, dall'altra parte l'Amministrazione Trump è ancora alla ricerca di una via d'uscita dal paese. "Siamo stati lì per quasi 17 anni e voglio scoprire perché, come è possibile e cosa dovremmo fare in termini di nuove idee", ha detto Trump ai giornalisti la settimana scorsa. La Casa Bianca sembra divisa sul futuro dell'impegno americano in Afghanistan. Politico ha scritto che Trump ha respinto la richiesta avanzata da McMaster (e sostenuta anche dal segretario alla Difesa, James Mattis), che voleva altri uomini da impegnare nel paese. Dalla parte di Trump si sarebbero schierati invece i suoi consiglieri, Jared Kushner e Steve Bannon. Piuttosto, Trump sembra riporre la sua fiducia su Erik Prince, fondatore della compagnia militare privata Blackwater. Domenica, il Wall Street Journal ha scritto che il presidente sta considerando seriamente di diminuire l'impegno dei soldati in Afghanistan aumentando quello dei contractor, seguendo il consiglio di Prince. Un progetto "privo di senso", l'ha definito Max Boot su Commentary Magazine: i contractor nel paese sono già migliaia, costerebbero molti soldi e in Iraq hanno già svolto un lavoro pessimo nell'addestramento delle reclute irachene. Se è incerto che l'Isis si stia rafforzando nel paese, la domanda sul che fare in Afghanistan resta ancora senza risposta.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.