Arlene Foster leader del Dup (foto LaPresse)

Un più e un meno spiegano "il bailout nordirlandese" che salva la May

Paola Peduzzi

Chi sono e cosa vogliono i nord irlandesi del Dup. Il partito che con i suoi 10 seggi consente al premier inglese di avere la maggioranza 

Milano. Nella notte elettorale britannica dei calcoli sbagliati e degli angeli vendicatori a ridacchiare in diretta tv, gli irlandesi del nord sono diventati tutt’a un tratto decisivi, corteggiati, inseguiti, intervistati – altro che 15 minuti di popolarità, qui si fa il prossimo governo del Regno Unito. “Orange is the new Blue”, twitta George Osborne, direttore dell’Evening Standard e forse il più felice del Regno perché ha visto sfregiata la premier-nemica, mentre una delle cover del giornale (ci sono state più edizioni ieri, scatenatissimo Osborne) dice: “Bailout nordirlandese”. Nel calcolo più doloroso della sua carriera politica, Theresa May ha fatto una somma e una sottrazione e, in fretta prima di doversi trovare in un’altra penosa concorrenza, è andata dagli unionisti estremi nordirlandesi, il Democratic unionist party (Dup), chiedendo in dote i loro 10 seggi conquistati nel voto di giovedì, due in più rispetto alla legislatura precedente. La soglia della maggioranza ai Comuni è 326 seggi, i Tory ne hanno 318, con il bottino del Dup si supera la soglia. Questa è la somma. Poi c’è anche la sottrazione, che spiega molto della politica nordirlandese, delle ferite che non si sono ancora rimarginate dopo le bombe e le pallottole e degli effetti collaterali di questo patto politico. Il Sinn Féin, che si spartisce la politica nordirlandese con il Dup (no, non c’è moderazione a Belfast, anche lì il centro è un “buco nero” come dicono i commentatori, la dialettica è tra i due estremi), ha avuto un’ottima notte elettorale, ha conquistato sette seggi record, ma ha già annunciato di voler ottemperare alla propria regola storica di “astensionismo”: quei seggi non li vuole, perché il Regno Unito è una forza straniera occupante, il Sinn Féin vuole staccarsi dal Regno e unirsi all’Irlanda. Quindi quei sette seggi è come se non ci fossero, il che fa abbassare la soglia della maggioranza assoluta a 322 seggi. Ai conservatori non bastano i voti nemmeno per arrivare a questa soglia, ma con il Dup superano sia questa sia quella sulla carta.

 

Un’addizione e una sottrazione quindi hanno permesso alla May di andare avanti con un patto politico che non ha una forma strutturata, ma cosa dovrà dare in cambio a questi novelli “kingmaker” a favore della Brexit ma soft, contro l’aborto, contro i matrimoni omosessuali, contro l’ambientalismo e con sfumature antidarwiniane? La risposta, invero vaga, l’ha data la leader del Dup, Arlene Foster: “Quel che è meglio per l’Irlanda del nord”. L’ultima volta che un governo conservatore s’è ritrovato a dipendere da un partito nordirlandese era il 1996, il premier era John Major, che aveva subìto delle sconfitte in elezioni suppletive e si alleò con gli unionisti: ma erano quelli dell’Uup, cioè i moderati, e il cuore dello scambio riguardava il processo di pace. Oggi c’è la Brexit, e il Dup, fondato all’inizio degli anni Settanta dal reverendo Paisley come un’unione protestante di irriducibili, è un partito molto meno moderato – già ieri circolavano i dettagli sul suo legame con il terrorismo unionista – anche se la Foster ha fama di pragmatica. Questo pone delle questioni sul futuro della politica nell’Irlanda del nord, caratterizzata da uno stallo semipermanente, e ovviamente sulla politica inglese. Pure se molti tendono a non azzardare troppe previsioni visto che ogni volta si fanno errori, l’esito dell’alleanza potrebbe addirittura portare i Tory su posizioni più centriste. Il Dup è a favore della Brexit ma contro l’“hard Brexit”, perché non vuole un confine rafforzato con l’Irlanda che potrebbe condizionare gli scambi commerciali e soprattutto fomentare la richiesta di uno “status speciale” per l’Irlanda del nord, che è il preludio a un distacco sia dal Regno Unito sia dall’Irlanda che gli unionisti vogliono scongiurare. Crescono le possibilità di una “soft Brexit”, di cui comunque si sa pochissimo, e pure su alcune misure del manifesto conservatore ci potrebbero essere delle pressioni di moderazione, sulle tasse alle aziende del turismo, sulle pensioni e sulle tariffe ferroviarie. Il bailout arancione potrebbe dare sfumature centriste ai Tory, ennesimo paradosso. 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi