La partita su Ema ed Eba dirà molto dell'Europa (e del nostro ruolo)

Marco Cecchini

Tra agosto e settembre si deciderà la dislocazione di due importanti enti che, causa Brexit, lasceranno Londra: l’agenzia del farmaco e l’autorità di controllo sulle banche

Roma. È in corso in Europa una partita economica e politica al tempo stesso, nella quale si potrà misurare se in Italia avrà la meglio la logica del fare e della fiducia nel futuro su quella del malumore militante. È la partita molto concreta attorno al destino delle agenzie europee che causa Brexit lasceranno il Regno Unito, il cui esito sta agitando le cancellerie del Continente. Tra agosto e settembre si deciderà infatti la dislocazione di due importanti enti che attualmente hanno sede nella capitale britannica: la European medicines agency (Ema), l’agenzia del farmaco, e la European banking authority (Eba), l’autorità di controllo sulle banche. Si tratta di una partita che si intreccia con altri tavoli di confronto e che registrerà i rapporti di forza dentro l’Europa dei 28 meno uno.

  

L’Italia è in prima fila con la candidatura di Milano per la sede dell’Ema, dopo che Roma si è chiamata fuori per l’opposizione del sindaco pentastellato Virginia Raggi, e se saprà giocare bene le sue carte ha buone probabilità di successo. Tuttavia, come dice al Foglio il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, “non deve prevalere anche in questa vicenda la logica pessimista del niente va bene”. L’Ema è uno degli enti comunitari più interessanti, perché attira fondi e visibilità: ha quasi mille dipendenti, un budget da 300 milioni di euro, promuove molti eventi e riceve 36 mila visite annuali di esterni. L’agenzia autorizza la messa in commercio dei nuovi farmaci sul territorio dell’Unione e rappresenta dunque uno snodo cruciale per l’industria farmaceutica continentale. Chi se la aggiudica sarà corteggiato dalle multinazionali del settore.

Non a caso Glaxo e AstraZeneca stanno valutando di lasciare il Regno Unito. E non sorprende che Londra stia facendo il possibile per trattenere l’agenzia. Nei giorni scorsi tuttavia Bruxelles ha impresso una netta accelerazione alle procedure di trasferimento. In un documento riservato inviato ai rappresentanti dei vari paesi la Commissione ha fissato i criteri in base ai quali saranno valutate le candidature e ha stabilito il calendario dei lavori: entro il 31 luglio i governi interessati dovranno presentare ufficialmente le offerte per la valutazione della Commissione che sottoporrà quindi la sua decisione al Consiglio dei capi di stato in ottobre. Palazzo Chigi è fiducioso di poter portare a Milano l‘agenzia. “La città ha tutti i requisiti richiesti da Bruxelles – spiega al Foglio Enzo Moavero Milanesi, l’ambasciatore delegato dal premier Paolo Gentiloni alla trattativa – ha individuato una sede, il grattacielo Pirelli, in grado di garantire la continuità operativa al momento della Brexit, ha trasporti efficienti ed è ben collegata con il resto d’Europa, ha scuole internazionali per i figli dei dipendenti e opportunità di lavoro per i loro coniugi”.

   

Moavero Milanesi non nasconde comunque che la concorrenza è agguerrita e che contro l’Italia saranno utilizzati anche argomenti di contorno “come la crisi dell’Alitalia e l’incertezza politica”. Sul destino di Ema ed Eba, infatti, è in atto un aspro confronto tra nord e sud Europa. La vorrebbero l’Italia e la Spagna, che di recente ha candidato Barcellona, ma si sono proposte anche Dublino, Copenaghen, Stoccolma e Vienna, che è appoggiata dalla Germania e dai paesi centro europei del gruppo di Visegrad.

   

La dislocazione dell’Eba sembra invece una questione riguardante solo Germania e Francia dalla quale l’Italia saggiamente si è chiamata fuori. Dato che la decisione richiede l’unanimità del Consiglio, in prossimità di ottobre assisteremo al farsi e disfarsi di alleanze basate sulla politica del do ut des. Moavero lascia intendere che l’Italia offrirà alla Germania il suo sostegno per l’Eba in cambio dell’appoggio di Berlino sull’Ema a Milano. Basterà? Il mondo dell’industria resta ottimista ma pungola il governo: “L’Italia ha la seconda industria farmaceutica europea – dice Scaccabarozzi – e ciò fa del nostro paese il candidato naturale a ospitare l’agenzia del farmaco, bisogna crederci fino in fondo però”.