Marine Le Pen ed Emmanuel Macron (foto LaPresse)

La difesa della Juve è dura da perforare e Le Pen non ha un programma

Giuliano Ferrara

La geniale sintesi (per via calcistica) di un Mohamed al bar del dibattito tra Macron e Marine. Perché la strana collera francese non è antipolitica

Sarà anche sprezzante, enarca, elitario, bellâtre, e il suo sorriso giovanile ha qualcosa di vanitoso e di superficiale, eppure ha saputo cortesemente menare le mani, difendersi e contrattaccare senza perdere mai il controllo. Il bravo ragazzo, il borghese di provincia che ha conquistato Parigi sembrava il presidente in carica contro una aspirante cheffe, capa, di un’opposizione scalciante e disordinata. Il format del dibattito presidenziale non è fatto per lei, che è sì carnale, materna, efficace nei comizi, fervorosa, ardente, ma nel gioco delle idee chiare e distinte, dei programmi, della persuasività razionale non è entrata nemmeno per sbaglio, neanche un istante, tutta presa come era a sputtanare il banchiere Rothschild con aggressiva grossolanità. In epoca di sondaggi smentiti, non quelli francesi per la verità, e di trumpismi, questo alla fine non dimostra nulla quanto al risultato finale, eppure indica qualcosa. Il riporto dei voti fillonisti e mélenchonisti va così così per Macron, ma lo rende il favorito delle previsioni. Certo il ballottaggio a due è tutta un’altra cosa, ma è almeno probabile che la strana collera francese abbia bisogno di un canale di scorrimento meno avventuroso, altisonante e vago di quello offerto dalla sua avversaria. Vedremo.

 

Il Cretino Collettivo qui non esiste, spiace dirlo, ma la Gallia non soffre di una congiuntura all’italiana. Sono incazzati e inclini allo sberleffo, ma un Coluche, l’attore comico di origine italiana (Colucci, da Frosinone) che nel 1981 si offrì per le presidenziali e fu accreditato del 16 per cento tra gli applausi degli intellos, era diverso da Grillo, con cui aveva recitato in un film, non era gretto, borioso, invadente e sprezzante, non era un duca degli ignoranti. Queste elezioni, come dice Hervé Le Bras, demografo e studioso non banale, sono “la buona novella”. La notizia è che i cittadini hanno già dato un colpo ai partiti della tradizione che negli ultimi decenni ha inanellato un fallimento dopo l’altro (il secondo Chirac, Sarkozy, Hollande), e hanno promosso un tipo giovane e relativamente nuovo mettendolo in buona posizione, senza risparmiarsi con Marine Le Pen un colpo di tuono capace di bucare l’opacità del vecchio percorso politico in modo travolgente e minaccioso, con la prospettiva di una salto nel buio all’indietro. La campagna elettorale, letta senza i paraocchi e gli automatismi delle categorie andanti, buone per tutte le bocche e sensibili a tutte le sciocchezze, ha mostrato un paese a suo modo solido anche nel malessere. Studio, disciplina repubblicana, senso dell’identità e apertura mentale, a parte i soliti psicorigidi che pullulano per ogni dove in un mondo così complicato da abitare, si sono fatti sentire come caratteri pertinenti del discorso pubblico e della sua percezione privata. Non è vero che non si è discusso di programmi, criteri di vita, visioni di società, cifre e immagini rigorose della crisi sociale e dell’emergenza determinata dal comunitarismo immigrazionista e, su un altro piano ma contiguo, violenza terrorista e jihadista. Il giornalismo è come al solito detestato, inglobato nel mondo dorato dei vincenti della globalizzazione, ma svolge una funzione non declamatoria, non generica, il talkismo irriflesso non ha attecchito, la satira funziona senza sopracciò, inchieste sul terreno e commenti di vario genere, ridimensionata la circolare pervasività della correttezza politica, dovuta anche alla relativa normalizzazione del lepenismo, fioriscono e danno un certo gusto della politica.

 

Come dice Le Bras, non c’è un attacco alla politica, ma una forte, gagliarda partecipazione politica che ricrea pur nell’individualismo trionfante un certo elemento di appartenenza, spesso frustrato da scandaletti e performance flosce dei partiti, con la eccezione della grande, vana e mal conclusa galoppata oratoria sognante del furbo e vecchio tribuno Mélenchon a fare da saporito contorno. La rivoluzione in corso è nella spiazzante scelta di una rappresentanza diversa da quella del passato, ma sempre Le Bras non esclude che nelle legislative di un mese dopo l’elezione del presidente i partiti, con il gioco delle triangolazioni e delle desistenze reso possibile dai due turni elettorali, tornino a giocare un ruolo, e con loro un quantum di quella destra e di quella sinistra che l’estremismo di Marine e il trasversalismo “et de droite et de gauche” di Macron hanno spazzato via dal campo per adesso. Anche qui, vedremo.

 

Sta di fatto che nella sua brutalità inedita, nel confusionismo voluto dalla sfidante e contenuto dal favorito, il duello televisivo di quasi tre ore, accanto ad altri dati ed emozioni che vengono dal basso e dall’alto della politica francese, dice che, come è successo per esempio in Olanda, non è escluso che quel che suona più rombante e fatale riveli un peso magari notevole ma minore del prevedibile, dati i tempi e la strutturazione delle leadership nel mondo e in Europa. In un bar di Parigi, al Galvani, XVII arrondissement, si sono riuniti in parecchi per vedere in alternanza la semifinale di Coppa dei Campioni, con il Monaco alle prese con la Juventus, la Giuvé come si dice qui, e hanno alternato palpitazioni diverse per calcio e politica. La sintesi l’ha fatta un meraviglioso Mohamed: “La catena difensiva della Juve è dura da perforare. E Marine Le Pen non ha un programma”.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.