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La scommessa di Abe. Il Giappone vuole buttarsi nel business dei casinò

Giulia Pompili

Passata la legge in aula, ora Tokyo farà concorrenza a Macao?

Roma. Il Parlamento giapponese ha approvato ieri una legge che il premier Shinzo Abe sosteneva da tempo. Si tratta della legalizzazione dei casinò, che autorizza il governo a emendare la legge che proibiva il gioco d’azzardo e a preparare, entro la fine del 2017, un nuovo regolamento per la costruzione non solo di casinò, ma anche di “resort integrati” con hotel, teatri e centri commerciali. La legge è sostenuta dal Partito liberaldemocratico, al governo con Shinzo Abe, e dal Nippon Ishin no Kai, che è un partito d’opposizione. Il Partito Komeito aveva chiesto ai suoi parlamentari di votare secondo coscienza. Il Partito democratico ha votato contro la legge, insieme con il Partito comunista, il Partito liberale e quello socialista. Secondo il fondo Clsa di Hong Kong, il Giappone punta a diventare l’hub asiatico per il turismo del gioco d’azzardo, facendo concorrenza a tradizionali luoghi come Macao e Singapore, ma anche ai resort presenti in Corea del sud e nelle Filippine. Secondo il Daiwa Research Institute, un casinò in Giappone potrebbe guadagnare almeno 3 miliardi di dollari l’anno, e la MGM Resorts International di Las Vegas sarebbe già pronta a investire nel progetto dieci miliardi di dollari. Non è un caso quindi che il premier Shinzo Abe, che prova a portare il testo in Parlamento dal 2013, abbia voluto fortemente inserire la legge sui casinò come parte delle sue politiche per la rivitalizzazione economica – un passo in più, oltre all’enorme iniezione di denaro che proverrà dalle Olimpiadi del 2020.

  

Il problema, semmai, riguarda l’opinione pubblica. Secondo un recente sondaggio della televisione pubblica Nhk, soltanto il 22 per cento degli intervistati era a favore di una legalizzazione dei casinò. E secondo il Japan Times perfino nella prefettura di Miyagi, quella devastata dal disastro del 2011, si parla da molto tempo di sfruttare il turismo dei casinò per aiutare la ricostruzione. D’altra parte, cercare un posto dove scommettere, o dove giocare d’azzardo in Giappone, fino a ieri, non è che fosse poi così difficile. Bastava chiedere a un anziano locale, o al gestore di un kombini (i mini supermercati aperti ventiquattr’ore) per farsi indirizzare in un casinò illegale gestito dalla yakuza, l’organizzazione criminale nipponica. Certo, il rischio era alto: il codice penale nipponico prevedeva sanzioni salate per chi fosse beccato a scommettere oppure a giocare d’azzardo giocando a Mah Jong o a poker. Nel corso degli anni, però, una serie di emendamenti aveva legalizzato alcune scommesse come quelle sulle corse dei cavalli, delle biciclette o delle auto.

Con l’avvento di internet, la yakuza aveva aggirato il problema dei divieti spostando gran parte delle attività online, e in ogni caso, per quei 5.36 milioni di giapponesi che secondo ministero della Salute soffrono di ludopatia, ci sono le sale per il pachinko. Sono luoghi infernali e allo stesso tempo malvagiamente seducenti, pieni di colori e arredati in modo kitch, dai quali si alza il rumore inconfondibile delle macchinette (il pachinko è un gioco a metà tra le slot machine e il flipper). Senza contare che le sale per il pachinko sono uno dei pochi luoghi pubblici in Giappone dove in cui si può fumare liberamente. Pur non prevedendo una vincita in denaro per chi va a giocare, ma monetine per continuare a giocare, l’industria dei pachinko da sola genera un indotto di duecento miliardi di dollari l’anno. In un’intervista anonima fatta ieri al quotidiano Asahi, un sedicente “boss di una gang della yakuza della regione del Kanto” diceva al giornalista che in realtà la mafia non guadagna molto dai casinò illegali, ma adesso può guadagnare molto di più dai ludodipendenti, soprattutto quando si indebitano e vanno a chiedere prestiti dagli strozzini. Le scommesse sportive, in particolare, hanno una cattiva fama in Giappone: negli ultimi anni sono esplosi diversi scandali che hanno coinvolto il mondo del baseball (lo sport più popolare) e il sumo (lo sport più tradizionale), con partite truccate e tornei addirittura annullati. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.