Manifesto con l'effigie di Ataturk durante la manifestazione a Taksim square contro il colpo di stato militare in Turchia

Turchia, opposizione in piazza: la stretta con Erdogan e gli appelli alla democrazia

Redazione
A Istanbul manifestano i partiti di minoranza assieme ai sostenitori del presidente contro il "nemico comune" Fethullah Gulen. La comunità internazionale preoccupata per diritti e sicurezza. Ma è l'economia il punto debole del sultano.

Roma. Tra le bandiere cremisi blasonate con la falce di luna crescente e la stella bianca, spuntano le gigantografie di Mustafa Kemal Atatürk, il padre della Turchia laica e repubblicana. “No al golpe, sì alla democrazia”, recitano i cartelli che spuntano tra la folla. A manifestare, per la prima volta insieme ai sostenitori di Erdogan e ai militanti dell’Akp, è l’opposizione, in un inaudito momento di riconciliazione nazionale, dopo il pasticciato tentativo di colpo di stato del 15 luglio scorso.

 



"No al golpe", recita il cartello esposto da un militante in piazza Taksim, Istanbul


 

Sul palco, in piazza Taksim a Istanbul, c’è il leader del partito socialdemocratico Chp, Kemal Kilicdaroglu: è una manifestazione per la repubblica e la democrazia, spiega. Nonostante la tensione, l’umore è molto patriottico. Si grida contro il "nemico comune" Fethullah Gulen, il predicatore e leader del movimento Hizmet, accusato da Ankara di essere l'eminenza grigia del fallito putsch. Ma dalla piazza arrivano anche gli slogan contro la stretta autoritaria del governo e per la laicità dello stato.

 


 


 

Oggi Erdogan incontrerà il premier e segretario dell’Akp, Binali Yildirim, oltre a Kilicdaroglu, che ha accettato per la prima volta di entrare nella residenza del presidente, e al leader del Partito del movimento nazionalista (Mhp), Devlet Bahceli: il contro golpe passa anche attraverso tentativi di riconciliazione nazionale. Erdogan ringrazierà i leader dell’opposizione per la fermezza dimostrata contro i golpisti. Ma sul tavolo ci sono anche le misure da intraprendere nel dopo-golpe: mercoledì scorso sono stati dichiarati almeno tre mesi di stato d’emergenza. Il primo ministro Yildirim e il suo gabinetto potranno governare per decreto, bypassando il Parlamento. Un portavoce del governo ha annunciato, in seguito, che la Turchia avrebbe tagliato alcun delle garanzie tutelate dalla Convenzione europea dei diritti umani. Secondo Amnesty international si tratterebbe di “un’eccezionale giro di vite, come non si vedeva dai giorni bui della dittatura militare del 1980”. Per l’ong, ci sono "prove credibili" che i detenuti siano stati "sottoposti a percosse e torture, incluso lo stupro, nei centri di detenzione ufficiali e non”.

 

Il numero degli arrestati intanto ha superato i 13mila. Tra loro, più di 8mila militari, oltre 2mila magistrati, circa 1.500 poliziotti, 52 autorità amministrative e 689 civili. E arriva il mandato d’arresto anche per 42 giornalisti, tra i quali molti nomi noti, come quello di Nazli Ilicak, firma di punta di molti quotidiani e commentatrice televisiva. Sul mar Nero, la polizia turca ha intanto arrestato Halis Hanci, considerato il braccio destro di Gulen.

 

A preoccupare gli alleati della Coalizione anti-isis sono poi i riflessi dell’instabilità turca sul versante militare: nelle poche ore in cui ai caccia occidentali di stanza nella base Nato di Incirlik, nel sud est del paese, è stato interdetto il volo, i jihadisti dello Stato islamico avrebbero lanciato numerosi attacchi suicidi contro i miliziani curdi dell’Ypg. E mentre l’agenzia di rating S&P stima al ribasso il rating della Turchia a BB/B, l’opinionista Henrik Mueller sul settimanale tedesco "Spiegel", scrive che proprio l’economia è il tallone d’Achille di Erdogan: "Il potere del presidente è in ultima analisi limitato: ha bisogno infatti della fiducia degli investitori internazionali".