Caracas, parata militare per il 205° anniversario dell'indipendenza del Venezuela (foto LaPresse)

Il populismo chavista fa piangere i poveri e salva gli amici

Maurizio Stefanini
Inchieste giudiziarie e giornalistiche spagnole sugli esponenti della boliburguesía che ora fugge dal disastro venezuelano.

Roma. In 69 miliardi di dollari ammonterebbe il totale degli arricchimenti illeciti di almeno 89 membri della nomenclatura del regime chavista in Venezuela, secondo quanto denunciato lo scorso maggio all’Assemblea nazionale di Caracas. Fu nel 2005 che il giornalista e scrittore Juan Carlos Zapata inventò la definizione di “boliburgueses” per indicare un ceto di imprenditori che a partire dal 2002-’03 si erano schierati con Hugo Chávez, e a cui si erano presto aggiunti vari politici e loro congiunti. E’ il caso ad esempio di Diego Salazar Carreño: figlio di un guerrigliero e poeta degli anni 60 ma soprattutto cugino dell’ex presidente della società petrolifera di stato Pdvsa e oggi ambasciatore all’Onu Rafael Ramírez Carreño. E appunto Ramírez ha reso questo modesto venditore di assicurazioni un magnate che usa l’aereo privato per passare le vacanze a Dubai o fare il giro delle sue case tra Stati Uniti ed Europa, semplicemente concedendogli il milionario contratto di assicurazione con la stessa Pdvsa.

 

E’ il caso, ancora, di Wilmer Ruperti, l’armatore che con la sua flotta di petroliere permise a Chávez di sopravvivere al grande sciopero del 2002, e la cui fortuna parrebbe oltrepassare oggi i 10 miliardi di dollari. E’ il caso di José David Cabello: direttore del servizio di Imposte e Dogane e fratello di Diosdado Cabello, l’ex presidente dell’Assemblea nazionale e attuale capogruppo chavista alla stessa Assemblea. C’è poi Erick Malpica: nipote preferito della Primera dama Cilia Flores, nonché direttore del Banco de Desarrollo Económico Social y Tesorero della Repubblica e responsabile finanziario della Pdvsa. Tutti incarichi di cui Malpica si sarebbe servito per lavare narcodollari, secondo quanto confessato dai suoi cugini Francisco de Freitas Flores e Antonio Campo Flores dopo essere stati arrestati a Haiti lo scorso novembre.

 

I bolichicos, “ragazzi bolivariani”, appartengono invece a una generazione più giovane, che ha fatto soldi in particolare grazie ad appalti pubblici tra 2009 e 2011. E mentre la boliborghesia con almeno 300 suoi esponenti ha fatto incetta di proprietà a Miami, i bolichicos da subito hanno invece iniziato a investire in Europa. Il quotidiano spegnolo el Mundo, in particolare, ha appena rivelato che Alejandro Betancourt López, suo cugino Pedro Trebbau López e il suo amico Francisco D’Agostino Casado si sono già trasferiti in Spagna, dove sono proprietari di sette imprese immobiliari e di una tenuta.

 

Quest’ultima, in particolare, fu pagata 22.790.000 euro nel 2011, subito dopo che la loro impresa Derwick Associates aveva vinto 11 appalti per la costruzione di centrali elettriche che avrebbero dovuto generare il 30 per cento dell’energia del Venezuela: un paese in cui quest’anno l’elettricità, in ragione della gravissima recessione economica, è stata addirittura razionata. Con appena un anno di esperienza dimostrabile, la Derwick Associates fu remunerata con 1,4 miliardi di dollari. Ma nessun contratto fu davvero completato, alcuni lavori hanno un livello di realizzazione tra il 5 e l’8 per cento, e i tre bolichicos sono nel frattempo finiti nelle liste dei Panama Papers. La Unidad de Delincuencia Económica y Fiscal della Policia nacional, la stessa che indaga sui sospetti finanziamenti di Podemos da parte di Venezuela, Iran e Qatar, sospetta in questa operazione immobiliare un possibile riciclaggio. Insomma, si conferma che il populismo dice di spendere per il popolo, ma poi il popolo resta ad affrontare le conseguenze del disastro, mentre sono gli arricchiti di regime che hanno la possibilità di portare i propri profitti al sicuro.

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