Soldati dell'esercito libico fuori Sirte (foto LaPresse)

Aiutare la battaglia di Sirte

Redazione
L’Italia è pronta a offrire appoggio al suo alleato libico contro l’Is? Cosa succederà ora che le forze di Serraj si avvicinano alla città.

Si avvicina il momento in cui potremmo essere costretti, come paese, a prendere decisioni rapide sull’intervento militare in Libia. Le forze fedeli al premier designato Fayez al Serraj avanzano per liberare la città di Sirte, che dalla primavera del 2015 è la capitale di fatto dello Stato islamico in Libia, come lo sono Raqqa in Siria e Mosul in Iraq. Ora, inutile nascondersi dietro un dito, il governo Serraj a Tripoli è un parto anche nostro, perché è il risultato di un piano di pace sponsorizzato dalle Nazioni Unite che l’Italia e gli Stati Uniti hanno appoggiato con convinzione. La prima visita di un ministro straniero a Tripoli è stata quella di Paolo Gentiloni. La stretta di mano, tre giorni fa, tra Serraj e l’ad dell’italiana Eni Claudio Descalzi conferma che corre buon sangue.

 

Cosa succederà ora che le forze di Serraj si avvicinano a Sirte, dove i combattenti dello Stato islamico potrebbero trincerarsi e vendere cara la pelle, casa per casa e – come diceva il colonnello Gheddafi – zenga zenga, vicolo per vicolo? Serraj in un paio di interviste la settimana scorsa ha detto che le forze libiche faranno tutto da sole, e che al massimo c’è bisogno di buone foto satellitari, informazioni e aiuto tecnico. In realtà, come dimostrano le battaglie per liberare Kobane, Tikrit e Ramadi, e quella ancora in corso per Falluja, potrebbe essere necessaria una campagna di raid aerei mirati per sloggiare o eliminare gli irriducibili. In Iraq se ne fanno carico gli americani. E in Libia, c’è qualcuno che potrebbe farsene carico, se le forze locali non riuscissero da sole a espugnare la capitale del gruppo estremista che ha rivendicato le stragi di Parigi (novembre 2015) e di Bruxelles (marzo 2016) e minaccia ritualmente Roma?

 

In questo momento il nostro assetto militare non è pronto nemmeno ad appoggiare una campagna altrui in Libia, se ce ne fosse bisogno. L’accordo con gli americani dice che possono usare le basi in Sicilia – le più vicine a Sirte – soltanto per operazioni difensive, per esempio se una squadra delle forze speciali americane in ricognizione corresse il rischio di essere catturata – non che ce ne siano ;) – e non per operazioni offensive. In caso di operazioni offensive, come gli strike mirati con i droni, il governo italiano vuole inoltre che i bersagli scelti siano non libici, per esempio i leader sauditi e iracheni dello Stato islamico, ma sarebbe una condizione difficile da rispettare se ci fosse da aiutare una battaglia urbana. Insomma: se Serraj attacca Sirte e non riesce a vincere e s’incarta è un problema per tutti. Non succede, ma se succede dovremmo essere pronti a offrire perlomeno le basi da dove gli aerei occidentali possono dare il decisivo calcio nei denti ai fanatici di Sirte. Per ora non siamo pronti, ma di certo qualcuno ha già ponderato la questione. Oppure no?

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