Paul Manafort

L'evoluzione di Donald

Paul Manafort, l'insider che dirige la campagna presentabile di Trump

“La cosa che è importante che capiate è questa: che lui capisce le cose, e la parte che sta recitando è in fase di evoluzione. Gli aspetti negativi si stanno dissolvendo, la sua immagine cambierà”. Così parlava Paul Manafort, nuovo capo della campagna elettorale di Donald Trump.

New York. “La cosa che è importante che capiate è questa: che lui capisce le cose, e la parte che sta recitando è in fase di evoluzione. Gli aspetti negativi si stanno dissolvendo, la sua immagine cambierà”. Così Paul Manafort, nuovo capo della campagna elettorale di Donald Trump, giovedì sera spiegava ai dirigenti del partito repubblicano riuniti a Hollywood, in Florida, che il candidato sta cambiando. L’epoca degli strepiti e degli insulti cede il passo a quella della misura, dei messaggi calibrati e delle strategie tradizionali. Manafort spiegava queste cose in un incontro a porte chiuse, aiutandosi con la schematica freddezza di una presentazione in PowerPoint, e il messaggio è penetrato all’esterno soltanto perché qualcuno dei presenti ha registrato e passato alla stampa il file. La risposta dell’establishment che Trump ha fin qui vilipeso in ogni modo è arrivata ieri, quando il capo del Partito repubblicano, Reince Priebus, ha chiuso il raduno di primavera con un discorso che ha castigato gli istinti separatisti del fronte “Never Trump”: “E’ essenziale per vincere a novembre che tutti sosteniamo il nostro candidato. Questo vale per tutti, dai capi del partito nelle contee ai membri nazionali ai candidati presidenziali. La politica è uno sport di squadra, e non riusciremo a vincere se non ci uniamo attorno al nostro candidato”. Questa virata nell’atteggiamento dell’establishment è il primo risultato del lavoro del 67enne Manafort, avvocato, lobbista, consigliere e navigatissimo insider di Washington che era stato assunto da Trump per preparare il terreno per la convention di partito, dove il frontrunner rischia di non presentarsi con i 1.237 delegati necessari per evitare manovre dell’ultimo minuto ai suoi danni.

 

Manafort aveva sigillato la nomination di Gerald Ford nel 1976, quand’era incalzato da destra da un arrembante Ronald Reagan, e allora era conosciuto come “the Count” – che significa “conte” ma anche “conteggio” – per via di certi modi aristocratici uniti a una formidabile disposizione per il lavoro numerico. Nel giro di qualche settimana è passato da specialista dei meccanismi della convention a dominatore della nuova campagna di Trump, quella presentabile e positiva, dove talvolta fanno capolino anche contenuti politici. A lui è affidata la costruzione della strategia, il rapporto con i media e le relazioni con gli apparati del partito. Ha a disposizione un budget da 20 milioni di dollari. Manafort ha scalzato di fatto l’inner circle di Trump, fin qui dominato dal coriaceo Corey Lewandowski, manager tuttofare affiancato da altri outsider della scena che hanno dato il meglio nella fase di rottura della campagna. Manafort è il simbolo di uno scontro fra due cerchi magici, quello delle nuove leve trumpiane che hanno realizzato la sua irresistibile ascesa e quello dei vecchi sodali di Trump, un sottobosco di stagionati faccendieri e mediatori che per decenni ha sussurrato all’orecchio del tycoon.

 

[**Video_box_2**]Il più noto è Roger Stone, vecchio consigliere nixoniano legato a Trump da un’antica amicizia. L’anno scorso il candidato lo ha licenziato dalla struttura della campagna elettorale su richiesta di Lewandowski, ma quando, poco prima di Pasqua, Trump si è trovato a leggere una pioggia di articoli sull’ipotesi di una “brokered convention” in cui il partito avrebbe cercato di disarcionarlo, ha chiamato Stone per una consulenza. E’ stato lui a fargli il nome di Manafort. Pochi possono testimoniare sulle qualità del Conte quanto Stone, che nella famosa convention del 1976 era dalla parte di Reagan, e ricorda bene che quello smaliziato negoziatore “ci ha fatto un culo così”. Da quello scontro è nata una partnership d’acciaio. I due hanno fondato l’agenzia di lobbying Black, Manafort, Stone and Kelly assieme a Charlie Black, che ora è uno dei principali consiglieri di John Kasich. Manafort e i suoi soci sono stati consiglieri dei due Bush, di Bob Dole e John McCain, cosa che non ha impedito di dare consigli all’alleato di Putin Viktor Yanukovich nella sua campagna per la presidenza dell’Ucraina. Nella lista dei clienti figurano l’ex dittaotre della Nigeria, Sani Abacha, e un gruppo del Kashimr che ha legami con i sordidi servizi d’intelligence del Pakistan.