Fa paura la Polonia? La risposta (non allarmista) di due esperti

Andrea Affaticati
Da settimane i media europei denunciano “l’orbanizzazione” della Polonia, dal duro premier ungherese Viktor Orbán, con Bruxelles preoccupata del “nuovo corso” di Varsavia.

Milano. Da settimane i media europei denunciano “l’orbanizzazione” della Polonia, dal duro premier ungherese Viktor Orbán, con Bruxelles preoccupata del “nuovo corso” di Varsavia e l’est Europa sempre più riottoso e compatto nel non volersi far dettare regole e strategie dall’Unione europea. Sabato, 50 mila polacchi sono scesi in strada per protestare contro il governo nazionalpopulista guidato da Beata Szydlo, considerata una “marionetta” nelle mani di Jaroslaw Kaczynski, il capo del Partito Giustizia e Eguaglianza (Pis). Agli oppositori hanno prontamente (ma in minor numero) risposto domenica i sostenitori del nuovo corso, accusandoli di “tradimento”.

 

La società polacca è attraversata da tempo da una profonda frattura, dice al Foglio Piotr Buras, ex corrispondente da Berlino del settimanale Gazeta Wyborcza  e oggi capo dell’ufficio di Varsavia del think tank European Council of Foreign Relations (Ecfr). A riacutizzare lo scontro è stata l’immediata sostituzione da parte del nuovo governo di cinque giudici costituzionalisti nominati dal precedente governo. “E’ vero che gli ultimi due erano stati nominati anzitempo. E per questo il Tribunale costituzionale avrebbe dato ragione al Pis – spiega Buras – ma il governo non ha voluto aspettare. Gli preme assicurarsi nel più breve tempo quanto più potere possibile”. E per fare ciò fa leva su due fattori. “Innanzitutto sul fatto di avere la maggioranza assoluta in Parlamento. E poco importa se questa maggioranza poggia sì sul 37,6 per cento di voti, ma a votare è stato il 52 per cento degli aventi diritto”. L’altro strumento è quello dello scontro fra le opposte fazioni. “E’ dall’incidente aereo a Smolensk, in cui è morto anche il fratello gemello, che Kaczynski non ha smesso di agitare lo spettro dell’attentato”, tant’è che il nuovo governo è intenzionato a portare l’allora capo del governo Donald Tusk davanti a un tribunale. Lo accusa di un complotto d’accordo con i russi. E una parte dei polacchi la pensa come lui. “Il Pis ha una visione alquanto confusa della democrazia, e non crede alle premesse liberali”, sottolinea Buras.

 

La patria, le tradizioni, la lotta alla corruzione e una viscerale avversione nei confronti della Russia, queste sono le ossessioni del Pis, sintetizza Krzysztof Wojciechowski, direttore del Collegium Polonicum. “Solo che non serve agitare lo spettro dell’orbanizzazione”, dice al Foglio il sociologo, che detesta le stigmatizzazioni perché gettano solo fumo negli occhi e non permettono di capire. “Il nuovo governo giocherà con il fuoco fintanto che non si scotterà – dice – Non metterà a repentaglio i rapporti con Bruxelles, non vorrà rischiare un taglio dei fondi europei. Di quei soldi ha bisogno per costruire scuole, ospedali, infrastrutture. Se verranno a mancare, i polacchi non lo seguiranno più”. Lo stesso vale per la politica economica interna. Il Pis aveva promesso due nuovi balzelli con i quali fare cassa: uno da imporre alle banche, l’altro agli ipermercati. “Due promesse destinate a scontrarsi con la realtà – dice Wojciechowski – Prendiamo la promessa di far pagare alle banche lo 0,39 per cento sugli asset. Come pensano di far passare questa proposta, avendo come ministro, per quanto delle Infrastrutture, Mateus Morawiecki? Stiamo parlando dell’ex amministratore delegato di una delle più importanti banche polacche, la Bank Zachodni Wbk. Al massimo pagheranno un obolo. E lo stesso vale per la tassa sui supermercati. L’associazione dei grossisti si è già fatta sentire. L’idea di tassare con il 2 per cento i profitti di tutti i supermercati con una superficie superiore ai 250 metri quadri colpirebbe molti imprenditori polacchi”.

 

Il nuovo governo sta saggiando il terreno per capire fino a dove può spingersi. “Certo qualcosa sta cambiando nell’Europa dell’est. Ma a essere a capo di questa ‘armada’ è l’Ungheria, non la Polonia, che al massimo farà da fanalino di coda”. Secondo Buras non bisogna poi confondere i movimenti populisti dell’est con quelli dell’ovest. “Mentre nella vecchia Europa si nota un deciso spostamento a destra, nei paesi dell’est i partiti nazionalisti guadagnano terreno non perché svoltano a destra, ma perché cavalcano l’avversione dell’opinione pubblica nei confronti di un élite liberale dimostratasi incapace di elaborare una visione futura per il paese che garantisca un benessere sociale più equamente diviso”. La maggior parte dei polacchi non guadagna più di 2.500 zloty al mese (574 euro). “Un partito che promette alle famiglie 1.000 zloty in più raccoglie consensi”.

 

[**Video_box_2**]Il nuovo governo ha già fatto sapere a Bruxelles di ritenere nullo l’accordo che prevedeva l’accoglimento di 7.000 profughi siriani. “Il problema dell’Ue è quello di ergersi a vate dei valori democratici occidentali, senza rendersi conto che i 28 paesi non potrebbero essere più diversi tra di loro”, dice Wojciechowski. “Basta guardare a Finlandia e Bulgaria. Ci sono differenze di mentalità, di benessere, di tradizioni, che se ignorate generano sensi di inferiorità e di risentimento. Accogliere mezzo milione di profughi non dovrebbero essere un problema, ma la Polonia fino a oggi ha conosciuto solo profughi slavi”. Anziché insistere sulle quote, sarebbe utile accettare che il paese non è ancora pronto a questo tipo di cambiamento, ma che forse è pronto a dare una mano in altro modo. Anche Buras pensa che sia sbagliato misurare il livello di europeismo sulla base dell’accettazione o no delle quote. “Nemmeno tutti gli stati membri occidentali sono a favore di questa soluzione. E allora perché scaricare tutte le colpe sui paesi dell’est?”. Una mossa simile potrebbe rivelarsi un boomerang, trasformando in un blocco unico populisti dell’est e populisti dell’ovest.

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