La foto caricata da Dylann Storm Roof sul suo profilo Facebook

“I neri si prendono il paese”

Perché in America ora la polizia teme le stragi alla Charleston più del jihad

Daniele Raineri
Un giovane uccide nove neri in una parrocchia americana. Quella paura di una escalation violenta nell’èra Obama

Roma. Due grandi bandiere cucite male sulla giacca nella foto profilo messa su Facebook come firma – in anticipo – per la strage di parrocchiani neri in una chiesa storica di Charleston, nella Carolina del sud, avvenuta mercoledì sera. Ieri, la polizia ha arrestato Dylan Roof Storm, un giovane di 21 anni che si sospetta essere l’autore del massacro, e quella immagine a mezzo busto era già lì – scattata d’inverno e caricata il 21 maggio – con un’espressione così truce che sembra quasi fare il verso a un pazzo omicida, se non si sapesse che cosa ha fatto cinque settimane dopo.

 

Una è la bandiera del Sudafrica prima del 1994, cioè fino a quando è stato in vigore il regime di segregazione razziale tra bianchi e neri, l’altra è della Rhodesia, il paese africano che oggi è lo Zimbabwe e che fino alla fine degli anni Settanta è stato governato dalla minoranza bianca.  I due paesi sono citati spesso dalla supremazia bianca e dagli ambienti più violenti e razzisti della destra estrema americana (e non), come esempio retorico e ossessivo di “cosa succede quando i bianchi cedono le nazioni ai neri”.

 

Quando la polizia  ha dato l’allarme e ha segnalato l’auto dell’uomo vista fuori dalla parrocchia, una Hyundai scura, ha parlato anche di una targa molto riconoscibile (senza però specificare di cosa si trattava) e poi è uscita una foto ed ecco di nuovo la retorica della supremazia bianca: la bandiera della Confederazione, legata non soltanto – ovviamente – ai fatti remoti della guerra civile americana, ma anche alle bande violente che negli stati del sud da decenni attaccano i neri e anche le chiese,  viste come luoghi di aggregazione e di resistenza civile contro i soprusi razziali.  Tra i morti ammazzati c’è anche il senatore della South Carolina, Clementa Pinckney, dei democratici, che era il pastore della chiesa e un attivista per i diritti dei neri.

 

Prima delle pistolettate l’uomo si è seduto per quasi un’ora tra i banchi assieme alle future vittime, che leggevano e commentavano passi della Bibbia, e poi durante il massacro ha risparmiato deliberatamente una donna  perché spiegasse il suo gesto: “Lo devo fare. I neri violentano le nostre donne e si stanno prendendo il nostro paese”. L’arma potrebbe essere stata un regalo di compleanno da parte del padre. E’ ancora presto per capire di più, ma viene da chiedersi che aria respirasse Dylann nella sua vita, con quel nome “Storm” che fa pensare allo Stormfront, una delle organizzazioni di destra estrema più longeve e attive anche su internet, e con quella passione per la Rhodesia in guerra. In ogni caso l’Fbi fa sapere che “non era sui nostri radar”. Soltanto un paio di crimini minori, droga e violazione di proprietà privata.

 

[**Video_box_2**]Di che aria si tratta, quindi? Ne ha parlato due giorni fa il New York Times, che ha pubblicato un editoriale intitolato “L’altra minaccia terroristica”. Il pezzo spiega che  secondo un’inchiesta fatta in 382 corpi di polizia in tutto il paese la minaccia principale negli Stati Uniti arriva non dai jihadisti (34 per cento delle risposte) ma dall’assortimento di milizie, neonazisti e gruppi antigovernativi (74 per cento delle risposte). Questi ultimi mesi di tensioni razziali, tra Ferguson, Baltimora e la stessa città di Charleston – dove ad aprile un agente di polizia ha sparato otto colpi di pistola nella schiena di un nero che scappava da un controllo – rendono di nuovo un fatto normale gli “hate crime”, i crimini connotati da odio razziale. “Come nazione – ha detto ieri il presidente Barack Obama  – dobbiamo riconoscere che queste uccisioni di massa non succedono negli altri paesi avanzati”.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)