Soldati iracheni in marcia verso Tikrit lo scorso marzo (foto LaPresse)

Chi ha perso la città di Ramadi? Cosa si risponde (e complotta) a Baghdad

Daniele Raineri
Il segretario americano alla Difesa Ash Carter contro il generale iraniano Suleimani. La lotta tra due modelli di guerra

America e Iran si rimpallano la responsabilità della caduta della città irachena di Ramadi nelle mani dello Stato islamico. Domenica il segretario americano alla Difesa, Ashton Carter, ha detto che è stata colpa dei soldati iracheni: “Non sono stati sopraffatti numericamente, anzi erano di più, eppure si sono ritirati”, per colpa della loro scarsa “will to fight”, volontà di combattere contro lo Stato islamico. Lunedì il generale iraniano Qassem Suleimani ha risposto sul quotidiano Javan che “gli americani non hanno fatto un dannato nulla per fermare lo Stato islamico”. Il generale Suleimani è il capo dell’unità speciale iraniana “Gerusalemme” ed è anche il volto più noto della presenza militare iraniana in Iraq. “Oggi non c’è nessuno a confrontare lo Stato islamico, eccetto la Repubblcia iraniana o paesi alleati o sostenuti dall’Iran”. Un portavoce del governo iracheno ha detto che le parole di Carter “sono basate su informazioni sbagliate”. Anche il primo ministro iracheno Haider al Abadi ha parlato e – in un’intervista volutamente non polemica e super ottimista con la Bbc – ha detto di essere fiducioso che Ramadi può essere riconquistata nel giro di “giorni”, anche se è proprio al Abadi a essere il più a rischio in questo momento.

 

Questi botta e risposta tra potenze che coabitano malvolentieri sullo stesso fronte della guerra allo Stato islamico non soltanto sono desolanti – considerato l’avanzare del nemico – ma rivelano una lotta tra due modelli di guerra che potremmo chiamare “modello Tikrit” e “modello Ramadi”. A Tikrit l’assalto iniziale e dei gruppi paramilitari sciiti, molto influenzati dal loro ardore per la religione e per l’Iran, si dovette arrestare dopo un mese per le troppe perdite. I gruppi lasciarono il posto in prima linea all’esercito regolare iracheno che, grazie all’intervento dei jet americani, in una settimana sbloccò la situazione. La grande vendetta sciita sulla popolazione non ci fu, ma la città da allora è rimasta in animazione sospesa: nessuno osa tornare alla propria casa nel timore che si scateni un pogrom a scoppio ritardato.

 

Ora che l’esercito ha perduto Ramadi, questo “modello Tikrit” è stato di nuovo accantonato: soltanto i gruppi paramilitari sciiti hanno i numeri e la sete di sangue per riprendere la città, nel cuore della più grande regione sunnita del paese. Riuniti sotto il nome di “Hash al Shabi”, mobilitazione popolare, i gruppi stanno per ora combattendo a est dell’area da riprendere: è, o per meglio dire sarà, il “modello Ramadi”.

 

Il ritorno sul fronte e in massa, con l’aureola di salvatori della patria, dei gruppi sciiti è un risultato della disfatta di Ramadi ed è un colpo per il primo ministro Abadi, che pur appartenendo al giro del potere sciita è considerato troppo “statale” e meno innamorato della mobilitazione popolare e dell’Iran di quanto dovrebbe essere (ovvero: tantissimo).

 

[**Video_box_2**]A Baghdad da una settimana non si parla che delle ragioni vere della caduta di Ramadi, e molti di questi discorsi prendono inflessioni cospirazioniste (qui verrebbe da dire: come spesso succede nel mondo arabo, ma succede la stessa cosa e in abbondanza anche da noi): l’esercito avrebbe deliberatamente ignorato gli ordini del primo ministro e ha abbandonato Ramadi per costringerlo di nuovo a chiedere il soccorso e a dare completa libertà d’azione ai gruppi paramilitari sciiti. Il sito curdo Rudaw pubblica la testimonianza anonima di un ufficiale presente che conferma questa tesi: lo hanno fatto apposta – ma quanto vale? Poco. Joel Wing, americano, uno degli analisti meglio informati sull’Iraq, dice che l’Iran è il grande vincente della disfatta di Ramadi e il premier Abadi il grande perdente, ma questo – di nuovo – non prova nulla. Ieri il capo dei sunniti di Anbar ha detto il contrario, che l’esercito ha disertato le posizioni perché “s’è ribellato agli ordini”.

 

Al netto delle ruminazioni nella capitale, l’Iran sta prendendo davvero l’iniziativa. Domenica il Guardian ha confermato, grazie a due fonti militari americane, che soldati iraniani protetti da elicotteri hanno oltrepassato di 40 km il confine tra i due paesi e si sono attestati nella città di Khanakin, per creare una linea di difesa contro lo Stato islamico.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)