I letterati boicottano Charlie Hebdo. Contestata la serata di gala al Pen
Roma. Pochi giorni fa c’era stato l’attacco di Garry Trudeau, il vignettista che ha creato la leggendaria striscia di Doonesbury, il premio Pulitzer secondo cui “attaccando un’impotente minoranza senza diritti, Charlie Hebdo è entrata nel regno dei discorsi dell’odio”. Adesso il ceto dei colti pensanti e scriventi in America torna a prendersela con la rivista satirica francese. La decisione del Pen Club (nato nel 1922) di assegnare il premio annuale alla libertà di espressione ai redattori di Charlie Hebdo ha spinto numerosi scrittori a ritirare la propria partecipazione come ospiti dal gala annuale del 5 maggio. Gérard Biard, direttore di Charlie Hebdo, e Jean-Baptiste Thoret, della redazione del settimanale, saranno presenti a New York per ritirare il premio.
A boicottare la cerimonia saranno, fra gli altri, lo scrittore canadese Michael Ondaatje, l’autore del “Paziente inglese” da cui venne tratto l’omonimo film; Peter Carey, il più celebre scrittore australiano vivente, autore di “Oscar e Lucinda” e candidato più volte al premio Nobel; Teju Cole, uno degli scrittori statunitensi più trendy della sua generazione e autore di “Città aperta” (Einaudi); Rachel Kushner, l’autrice di quel “Telex from Cuba” che ha vinto premi e plausi della critica anglofona; e la scrittrice della “Bellezza delle cose fragili”, Taiye Selasi.
In una lettera di cui rende conto il New York Times, Kushner ha accusato Charlie Hebdo di “intolleranza culturale”, e ha investito nella sua accusa più in generale la Francia e “la cecità apparente del Pen sull’arroganza culturale della nazione francese che non riconosce il suo obbligo morale verso una parte della sua popolazione” (islamica, ndr). Già in un articolo per il New Yorker dopo la strage di Parigi, Teju Cole aveva accusato la rivista di “provocazioni razziste e islamofobia”. Dura anche la scrittrice di racconti Deborah Eisenberg: “Quello che mi chiedo è cosa il Pen speri di trasmettere mediante un premio a una rivista che è diventata famosa sia per l’omicidio orribile del proprio personale da parte di estremisti islamici sia per i suoi ritratti denigranti dei musulmani”. Niente male come sfoggio di equivalenza morale.
La scrittrice Francine Prose, ex presidente del Pen America che boicotterà la cerimonia, ha scritto: “Ero sconvolta quando ho sentito parlare del premio. Assegnare un premio significa ammirazione e rispetto per il lavoro del premiato”. Sia mai. E Prose ha aggiunto: “Non potevo immaginare di essere tra il pubblico quando ci sarebbe stata una standing ovation per Charlie Hebdo”. La protesta anti Pen a proposito di Charlie Hebdo è la più imponente nella memoria recente. Nel 1986, Norman Mailer fece infuriare molti scrittori quando invitò l’allora segretario di stato, George Shultz, al congresso annuale del Pen. Allora si accusò il salotto degli scrittori di diventare “un forum per l’Amministrazione Reagan”.
[**Video_box_2**]Per una volta, Salman Rushdie, memore degli anni di clandestinità e del silenzio delle classi letterarie, ha preso posizione senza infingimenti: “Se il Pen come organizzazione per la libertà di parola non può difendere e celebrare le persone che sono state uccise per aver disegnato delle immagini, francamente l’organizzazione non è degna di questo nome”.
Nei giorni successivi alla mattanza del 7 gennaio nella redazione di Charlie Hebdo, il grande Art Spiegelman, autore del fumetto “Maus” sulla Shoah, aveva visto giusto definendo “ipocriti” gli scrittori e i giornalisti americani con il loro “zelo fanatico di essere corretti”, “questi paladini della libertà di espressione salvo poi evitare di pubblicare Charlie Hebdo”, o peggio, addirittura attaccare i giornalisti decimati a Parigi. Il numero successivo alla strage, con la sua tiratura milionaria a Parigi, raggiunse le edicole americane con appena trecento esemplari.
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