
Editoriali
La follia delle tasse in più sugli affitti brevi
L’escalation regolatoria è un danno per tutti: i turisti perderebbero opportunità, i proprietari reddito, i clienti sicurezza e qualità, le autorità la trasparenza e il fisco il gettito. Ripensarci si può. Si deve
Con la legge di bilancio per il 2026, l’aliquota sugli affitti brevi potrebbe salire dal 21 al 26 per cento. La ragione è evidente: il ministro Giorgetti ha bisogno di gettito per far quadrare i conti. Ma questa misura rischia di rivelarsi un boomerang. Attualmente, la cedolare secca al 21 per cento sugli affitti brevi si applica ai redditi delle persone fisiche derivanti da una singola unità immobiliare. Non è, dunque, rivolta a soggetti che svolgono le loro attività in forma imprenditoriale né a individui facoltosi che vivono grazie alla gestione di più immobili. La ratio è, da un lato, andare incontro alle esigenze di chi, disponendo di un’abitazione, intende ricavarne un reddito aggiuntivo mettendola a disposizione dei turisti per periodi limitati di tempo (le locazioni brevi non possono superare i 30 giorni, ma in pratica sono spesso molto inferiori: la media è attorno ai 4-5 giorni). Dall’altro, le locazioni brevi a fini turistici non sono nate oggi. Ma sono state a lungo – salvo lodevoli eccezioni – il regno del sommerso, perché difficilmente controllabili e perché l’applicazione dell’Irpef ne avrebbe fatto venire meno ogni convenienza. La cedolare secca e l’utilizzo di un’aliquota ridotta sono una risposta pragmatica a questo duplice problema, perché creano un incentivo a fare le cose alla luce del sole; dove poi c’è l’intermediazione di qualche piattaforma online è tutto tracciato e la compliance con le regole è garantita. Oltre tutto, ciò consente di aumentare non solo l’offerta di spazi, ma anche la loro trasparenza soprattutto nei luoghi e nei periodi di maggiore domanda, contribuendo ad alleviarne gli effetti più estremi. E questo è un aspetto ignorato: che questi locali siano messi a disposizione di chi ne ha bisogno è nell’interesse pubblico, ed erode la rendita di chi ha redditi alimentati dalla scarsità di alternative. Il rischio, insomma, è che l’escalation regolatoria e fiscale finisca per rendere nuovamente attrattivo il nero. Sarebbe una sconfitta per tutti: i turisti perderebbero opportunità, i proprietari reddito, i clienti sicurezza e qualità, le autorità la trasparenza e il fisco il gettito.