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Il governo Bayrou non verrà ricordato, il discorso di ieri del premier uscente sì

Redazione

Un paese in crisi non fugge dalla. In politica, c’è un tempo per fingere e un tempo per dire la verità. François Bayrou, ieri all’Assemblée, ha scelto la seconda strada

In politica, c’è un tempo per fingere e un tempo per dire la verità. François Bayrou, ieri all’Assemblée, ha scelto la seconda strada. Lo ha fatto sapendo che ieri il suo governo si sarebbe trovato davanti a un voto di fiducia impossibile da vincere, lo ha fatto consapevole che la sua stagione a Matignon era già finita, e forse proprio per questo ha potuto concedersi il lusso della verità.

Bayrou ha chiamato le cose con il loro nome: un paese che da cinquantun anni non presenta un bilancio in pareggio, un debito che supera i 3400 miliardi, una generazione condannata a pagare i conti accumulati dai padri per spese correnti e non per investimenti, una politica troppo a lungo incapace di guardare oltre la prossima scadenza elettorale. I

 

l principio di realtà, ieri, ha fatto irruzione in aula: la Francia, ha detto Bayrou, può anche illudersi di abbattere un governo, ma non ha il potere di cancellare il reale. E il reale, oggi, significa debito, disuguaglianza, scuola declassata, produttività ferma, territori dimenticati. Un discorso da capitano che annuncia l’acqua che entra nelle stive e invita tutti a prendere i secchi. Forse tardivo, forse inutile, certo non vincente sul piano politico. Ma salutare. Nelle democrazie mature, accade che un premier, nel momento stesso in cui sa di essere già fuori dall’uscio, trovi la forza per dire ciò che andava detto da tempo. Bayrou lo ha fatto, evocando De Gaulle e Mendès-France, e ricordando che un paese che non controlla i suoi conti è un paese che si abbandona. Bayrou è caduto ma la lezione resta: la politica non serve se non osa affrontare l’essenziale. E' probabile che nelle prossime ore il suo discorso venga archiviato come l’ultimo gesto di un premier disperato, ma sarebbe un errore ridurlo a questo: perché la franchezza di ieri non riguarda solo lui, riguarda la Francia, e in parte riguarda anche noi. Perché la tentazione di vivere al di sopra delle proprie possibilità, di rimandare il conto a chi verrà dopo, non è una malattia solo francese: è la patologia diffusa di tutte le democrazie che hanno paura del presente e si rifugiano nelle illusioni del futuro.

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