Editoriali
Lo spettro di Kabul
Donald Trump attacca i democratici sul ritiro dall’Afghanistan, dove fa più male
Donald Trump fatica a riorganizzare la sua campagna elettorale ora che lo scontro è con Kamala Harris e in questi giorni ha trovato un pertugio – in cui si è infilato goffo e smisurato – nel terzo anniversario dal ritiro degli Stati Uniti in Afghanistan organizzato dal presidente Joe Biden e, come si sa, disastroso. Trump accusa Biden e soprattutto Harris dell’“umiliazione” subita allora, è andato alla commemorazione degli americani uccisi (assieme a un numero dieci volte superiore di afghani) all’aeroporto di Kabul il 26 agosto del 2021, sottolineando così l’assenza sia di Biden sia di Harris. Trump si limita a denunciare l’organizzazione e l’esecuzione invero rovinose di quel ritiro perché a firmare l’accordo con i talebani era stato proprio lui e ne era fiero: lui era il presidente che avrebbe messo fine alle guerre nel mondo, diceva, e lo dice ancora oggi quando fantastica sul suo finto pacifismo dicendosi l’unico in grado di fermare anche Putin.
La strumentalizzazione dell’ex presidente e del suo candidato alla vicepresidenza, J. D. Vance, è insistente: Trump è arrivato a dire che quando tornerà alla Casa Bianca licenzierà tutti quelli che hanno avuto un ruolo nel ritiro americano dall’Afghanistan. Le iperboli trumpiane, unite alla sua totale deresponsabilizzazione riguardo alla strategia del ritiro, non possono però far dimenticare che l’agosto di tre anni fa, il ritorno fulmineo dei talebani a Kabul e tutto quel che è accaduto poi, tra evacuazioni tragiche e la reintroduzione delle norme fondamentaliste islamiche contro il popolo afghano (anche la voce delle donne ora è fuorilegge), consegnò al mondo un’immagine nefasta del ruolo americano nel mondo. Harris dice che fu una decisione “giusta e coraggiosa”, ma sbaglia: molti esperti sono convinti che anzi quel ritiro convinse Putin che gli americani non sarebbero andati in aiuto dei loro alleati, e accelerò l’invasione dell’Ucraina.