Editoriali
Sciolto il parlamento in Bangladesh. La fuga della premier Hasina e il pericolo di un altro autocrate
La leader si è dimessa ed è fuggita in India. Ora però inizia la fase più complicata per il paese dell’Asia meridionale, quella di instabilità politica. L'esercito vuole formare un governo ad interim, i leader delle proteste lo vogliono guidato dal Nobel Yunus, che tornerà a Dacca a breve
[Articolo aggiornato il 6 agosto 2024] Il presidente del Bangladesh Mohammed Shahabuddin ha sciolto il parlamento, accogliendo una richiesta fondamentale dei leader delle proteste studentesche, che hanno anche detto che non accetteranno un governo guidato dai militari. I coordinatori delle proteste avevano anche pubblicato un video su Facebook chiedendo la formazione di un nuovo governo provvisorio guidato da Muhammad Yunus. Il vincitore del premio Nobel per la Pace nel 2006 ha accettato. "Quando gli studenti che hanno sacrificato così tanto mi chiedono di intervenire in questo momento difficile, come posso rifiutare?" ha detto Yunus, che al momento si trova a Parigi e tornerà a Dacca a breve, come ha detto alla BBC Lamiya Morshed, direttore esecutivo dello Yunus Centre.
Ieri, dopo settimane di proteste studentesche in Bangladesh, la premier Sheikh Hasina si è dimessa. Lunedì 5 agosto, mentre migliaia di manifestanti prendevano d’assalto il Ganabhaban, il palazzo residenziale, la leader è fuggita in India: i suoi 15 anni ininterrotti al potere sono stati segnati sì dalla crescita economica (era soprannominata la lady di ferro asiatica) ma anche da arresti di massa, sparizioni e repressione violenta del dissenso.
Le proteste erano iniziate a luglio in modo pacifico dagli studenti universitari contro le quote di lavoro nella pubblica amministrazione, ma ben presto si sono allargate: l’Awami League, il partito al governo, aveva risposto con gas lacrimogeni e proiettili sui civili, arresti, interruzioni alla rete internet e coprifuoco. La Corte suprema aveva rivisto il sistema delle quote, ma a quel punto, come in un film già visto, gli studenti erano passati a chiedere giustizia per gli oltre duecento manifestanti uccisi in pochi giorni: la protesta si era ampliata, risvegliando l’insofferenza e diventando una rivolta popolare contro l’autocrazia di Sheikh Hasina. Già a gennaio l’opposizione aveva denunciato lo svolgimento di elezioni “immaginarie”, né libere né eque. Domenica i morti sono diventati trecento, la maggior parte dei quali manifestanti colpiti dalla polizia, e gli arresti sono più di 10 mila.
Nonostante le minacce e l’etichetta di “terroristi”, i leader della protesta non si sono fermati e hanno annunciato una “lunga marcia verso Dacca”, che ieri ha infine portato alla sua fuga e alle dimissioni. I cittadini hanno esultato, le manifestazioni per le strade sono diventate una festa e il capo di stato maggiore dell’esercito, Waker-Uz-Zaman, ha chiesto ai cittadini fiducia annunciando la formazione di un governo ad interim per riportare la pace nel paese. Ora però inizia la fase più complicata per il paese dell’Asia meridionale, quella di instabilità politica tra governo, esercito e popolazione. Probabilmente non bastano le dimissioni di Hasina per porre fine ai disordini e per sperare che la sua fuga sia l’inizio di un nuovo Bangladesh.
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