editoriali

Klubrádió è ancora in silenzio

redazione

La radio spenta da Orbán rimane senza frequenza. La deriva dei paesi dell’est

Quando l’emittente radiofonica ungherese Klubrádió ha smesso di trasmettere, la prima reazione della redazione è stata: non importa,   faremo di nuovo richiesta per occupare la nostra frequenza, la 92,9. Klubrádió  esiste dalla fine degli anni Novanta e ha continuato a portare avanti la sua attività nell’unico modo che conosce: dando spazio anche a  voci contrarie al governo di Viktor Orbán e per questo le è stata revocata la licenza. La speranza di rioccupare la  frequenza si è interrotta ieri  di fronte al no del Consiglio dei media ungheresi che ha dichiarato non valido il bando per l’assegnazione della frequenza. Il Consiglio dei media è controllato da Fidesz, il partito del primo ministro, che controlla anche la maggior parte delle testate. Le condizioni della libertà di stampa a Budapest preoccupano molto anche l’Europa e la vicepresidente della Commissione, Vera Jourová, che ha molto a cuore lo stato della democrazia nei paesi dell’Europa centro-orientale: ha detto che la chiusura di Klubrádió è un episodio allarmante e che “i leader forti sono quelli  che  permettono ai cittadini di essere debitamente informati”. Le notizie di ieri indicano che in Ungheria non è solo la mancanza di pluralismo ad aver raggiunto uno stato preoccupante, ma che Orbán ha chiuso i suoi cittadini dentro a un labirinto e chi cerca una soluzione ai metodi del primo ministro non potrà mai venirne a capo, perché tutto è nelle mani di Fidesz.

 

   

La radio continua a trasmettere online, ha molte difficoltà economiche, ma la redazione non demorde, ha detto che ritenterà ancora. Oltre all’Ungheria anche in Polonia e Slovenia il pluralismo è minacciato. In Polonia c’è il progetto di una legge sulla pubblicità per colpire le testate che hanno un editore straniero. In Slovenia il primo ministro Janez Jansa attacca di frequente i giornalisti. Il caso di Klubrádió, e di molti altri  media ungheresi, dovrebbe far capire a polacchi e sloveni, e a tutta l’Ue, che contro i metodi illiberali bisogna agire in fretta, trovare una strategia  prima che una nazione si trasformi in un labirinto.

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