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Portafogli Creativi

Perchè S&P non si fida di Tether

Davide Mattone

Nella lettura dell'agenzia di rating la capacità della più grande stablecoin al mondo di difendere l’ancoraggio 1:1 al dollaro in caso di crisi è debole. Intanto, i regolatori europei e americani provano ad alzare l’asticella sulla trasparenza e i rischi finanziari

Mercoledì l’agenzia di rating internazionale S&P Global ha abbassato alla soglia minima il giudizio su Usdt, la stablecoin emessa da Tether: dal livello 4 ("constrained", limitato) al 5 ("weak", debole); il voto più basso in una scala da 1 (molto forte) a 5. Nella lettura di S&P il giudizio significa che la capacità dell’emittente di difendere l’ancoraggio in caso di crisi è debole. Non è ancora un allarme rosso – Usdt continua a scambiare intorno a un dollaro – ma è un cartellino giallo, o meglio un monito agli operatori su come Tether gestisce le riserve e il proprio portafoglio, che in teoria dovrebbero "garantire" la parità 1:1 con il dollaro americano.

Tether è la società che emette la più grande stablecoin al mondo per valore in circolazione. Ha sede fiscale a El Salvador, dove il presidente Nayib Bukele ha adottato il Bitcoin come valuta ufficiale del paese nel 2021, ed è guidata dall’italiano Paolo Ardoino. Il business model, simile a quello di Circle, è il seguente: per ogni Usdt emesso la società incassa un dollaro e promette di detenerlo in attività liquide e sicure, in modo da poter essere riscatte in qualsiasi momento. Le riserve sono investite soprattutto in titoli del Tesoro statunitense a breve scadenza, ma gli interessi non vanno agli utenti e restano a Tether, trasformando questo margine una una fonte di profitto.

Per S&P il problema è che la cassaforte che dovrebbe garantire la stabilità della "moneta digitale" durante una crisi non è fatta solo di titoli a basso rischio o depositi. Secondo i dati citati dall’agenzia e dal Financial Times, circa tre quarti delle riserve sono titoli di stato Usa (di cui una percentuale in repo sui T-bill), ma il resto è ormai investito in attività più rischiose: oro, bitcoin, obbligazioni societarie, prestiti garantiti e altre partecipazioni. All’interno di questa componente, la quota di bitcoin, 5,6 per cento, ha raggiunto livelli tali da superare il margine di sovracollateralizzazione dichiarato da Tether, circa 3,9 per cento. In teoria la stablecoin dovrebbe essere sostenuta da attività a basso rischio e altissima liquidità, ma in pratica i portafogli sono misti. Il punto di S&P è questo: quanto margine di stabilità resta se una parte rilevante del portafoglio è legata ad attività volatili?

Ardoino ha reagito attaccando il giudizio, presentando S&P come l’ennesimo baluardo di un sistema finanziario tradizionale "minacciato" dal successo delle stablecoin, e ricordando che Usdt ha mantenuto l’ancoraggio al dollaro anche nei momenti peggiori dei mercati. E su questo non ha completamente torto. Nonostante il collasso della stablecoin Terrausd nel 2022, e la crisi di Silicon Valley Bank nel 2023 che ha fatto deprezzare Usdc, la seconda stablecoin al mondo per valore di mercato, Usdt ha oscillato ma non ha subito una rottura prolungata della parità. 

L'agenzia di rating segnala anche "lacune persistenti" nella trasparenza: poche informazioni sui conti in cui sono detenuti i titoli, sulle controparti, su come sarebbero separati gli asset dei clienti in caso di insolvenza. Tether pubblica attestazioni trimestrali firmate da una società di revisione, ma non ha mai accettato un audit esterno completo dei bilanci e delle riserve. È dunque lecito domandarsi, come fanno da anni i regolatori e la Banca dei regolamenti internazionali (Bis): i soldi – o le riserve – ci sono davvero? E dove sono?

In Europa vige il regolamento Micar che obbliga gli emittenti di stablecoin ad avere una licenza nell’Unione, a detenere riserve liquide per l’intero ammontare dei token e ad allocarne almeno il 30 per cento in depositi presso banche, con divieto di offrire interessi agli utenti. Tether, che non ha una licenza Micar, ha di fatto rinunciato al mercato dell’Unione, mentre la Bis ha già segnalato come il modello delle grandi stablecoin, Tether inclusa, ponga rischi per la sovranità monetaria e la stabilità se resta fuori da questa cornice.

Negli Stati Uniti il Genius act, firmato a luglio ma non ancora in vigore, va nella stessa direzione ma con un approccio più radicale: autorizza solo emittenti finanziari vigilati come banche o equiparati; impone riserve al 100 per cento costituite da attività molto liquide e sicure come depositi, titoli del Tesoro a breve scadenza; vieta agli emittenti di pagare interessi sulle stablecoin e impone rendicontazioni periodiche pubbliche, oltre a bilanci annuali sottoposti ad audit. Allo stesso tempo non va dimenticata la dimensione geopolitica del regolamento: una volta in vigore, il Genius Act consoliderebbe le stablecoin anche come veicolo strutturale di domanda per il debito pubblico Usa, rafforzando allo stesso tempo il ruolo internazionale del dollaro. Ma a quel punto lo spazio per stablecoin con portafogli "creativi" nel mercato americano sarà pari a zero. Tether ha già annunciato un progetto di stablecoin conforme al Genius act, Usat, emessa da una banca statunitense regolata, lasciando a Usdt il ruolo di stablecoin "globale" di una società estera. 

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