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L'analisi
Meno evasione e più tasse
In venti anni è notevolmente diminuito il tax gap, sull’Iva l'Italia si è riallineata all’Europa e gli obiettivi del Pnrr sono quasi centrati. Nonostante ciò, la pressione fiscale è aumentata e il gettito recuperato è stato usato come "tesoretto" per finanziare nuove uscite anziché tagli
Quando si discute di evasione, il dibattito italiano è lo stesso da decenni, anche se nel frattempo sono cambiate molte cose. Due sono gli argomenti più diffusi: 1) l’evasione fiscale è altissima e non si fa nulla per contrastarla; 2) le tasse sono altissime a causa del punto precedente. L’ultima Relazione del Mef sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, però, fornisce elementi e numeri per smentire questa duplice narrazione consolidata. La sensazione che l’evasione sia inscalfibile è forse dovuta al fatto che si parla di questo fenomeno usando i valori assoluti: l’evasione è sempre attorno ai 100 miliardi di euro. Anzi, nel 2022 – ultimo anno considerato dalla relazione – l’evasione fiscale e contributiva è aumentata 3,5 miliardi. Per giunta, il rapporto del 2025, dopo aver fatto una modifica metodologica sulla quantificazione dell’evasione per l’Irpef da lavoro autonomo e dopo aver considerato la Revisione generale dei conti nazionali dell’Istat, ha rivisto al rialzo la propensione all’evasione dal 2019 in poi. Insomma, tutto sembra andare male come al solito, o forse peggio.
In realtà, il quadro mostra un netto miglioramento. Come hanno sottolineato in un articolo sul Foglio il presidente e due membri della Commissione del Mef – Nicola Rossi, Giovanni Tria e Riccardo Puglisi – guardare ai valori assoluti, a questi 100 miliardi costanti nei decenni, è un errore: rispetto a 15 anni fa, questi 100 miliardi valgono molto meno sia in termini assoluti (inflazione +40 per cento) sia in termini relativi all’economia nazionale (pil nominale +40 per cento). Se, come ha fatto l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, si neutralizza l’effetto dell’inflazione molto forte soprattutto negli anni post-Covid, si può notare che tra il 2018 e il 2022 l’evasione è scesa da 105,8 a 92,6 miliardi a prezzi costanti (-14,5 per cento). La propensione all’evasione, ovvero il gap tra quanto quanto riscosso e quanto dovuto, è diminuito dal 19,6 per cento nel 2018 al 17 per cento nel 2022.
Ciò vuol dire che sono già stati raggiunti quasi integralmente gli obiettivi previsti dal Pnrr che prevedono, appunto, una riduzione della propensione all’evasione nel 2023 del 5 per cento rispetto al livello del 2019 e nel 2024 del 15 per cento. A meno che i dati dei prossimi anni non mostrino un’inversione di tendenza sotto il governo Meloni, il 17 per cento di propensione all’evasione nel 2022 indica che l’obiettivo del 2023 (18,5 per cento) è ampiamente superato e quello del 2024 quasi acquisito (16,6 per cento).
Se si allunga lo sguardo all’indietro, i progressi sono ancora più significativi. Prendiamo l’Iva, una delle imposte più evase e l’unica per cui è disponibile un confronto a livello europeo: “Rispetto al punto di picco registrato nell’ultimo ventennio, l’Italia ha ridotto il proprio gap Iva per circa 22 punti percentuali”, riporta la relazione. Un dato fra i più significativi nell’Unione che ha consentito di abbattere notevolmente la distanza rispetto alla media Ue, passando da 16 punti di gap nel 2005 a circa 2 punti nel 2022. E’ il risultato di riforme e progressi sulla digitalizzazione fatti negli anni passati (split payment, reverse charge e fatturazione elettronica, etc.)
Se però l’evasione si è considerevolmente ridotta, non può essere una giustificazione per l’elevata pressione fiscale. La tesi secondo cui è solo scovando chi non paga le tasse che si può ridurre il carico di chi le paga non ha fondamento empirico: lo slogan “Pagare tutti per pagare meno” è un falso. La relazione del Mef, in una sezione, guarda l’evoluzione del tax gap delle principali quattro imposte: Irap, Iva, Ires e Irepf. In venti anni, dal 2001 al 2022, l’incidenza dell’evasione di queste imposte è passata dal 6,5 per cento del pil nel 2001 al 4 per cento nel 2022: circa 50 miliardi di euro annui del pil attuale, quasi il triplo della legge di Bilancio in discussione. Cos’è successo nel frattempo alla pressione fiscale? E’ passata dal 39,9 per cento nel 2001 al 42,8 per cento nel 2025. Questo perché la spesa pubblica è aumentata dal 47,1 per cento nel 2001 al 50,4 per cento nel 2025. Insomma, ridurre l’evasione è importante ma non porta necessariamente a una riduzione delle tasse: in Italia è accaduto il contrario. Perché la politica ha finora preferito usare il “tesoretto” del recupero dell’evasione per finanziare nuove uscite anziché per tagliare le aliquote.
Pertanto, ogni programma politico di riduzione della pressione fiscale, ormai ai livelli più alti d’Europa, per essere credibile deve prevedere una riduzione del perimetro dello stato e della spesa pubblica. Soprattutto mentre il paese ha la necessità di ridurre il deficit e il debito pubblico. Non ci sono scorciatoie, come il taglio delle tasse in deficit che piace a destra o il taglio delle tasse dopo il recupero dell’evasione che piace a sinistra. Diceva Milton Friedman: “Tieni d’occhio una cosa sola: quanto spende il governo, perché quella è la vera tassa”.
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