Ansa
un fragile equilibrio
Transizione 5.0: la corsa agli incentivi può mettere a rischio i conti pubblici?
La riapertura dello sportello fino al 27 novembre spinge le imprese a investire in digitalizzazione ed efficienza energetica, ma l’aumento repentino dei crediti d’imposta potrebbe peggiorare i conti pubblici e complicare la legge di bilancio 2026
Nel corso dell’ultimo mese la misura Transizione 5.0 ha registrato un’impennata significativa nelle prenotazioni degli incentivi da parte delle imprese, con un potenziale tiraggio aggiuntivo stimato in oltre un miliardo di euro. Questo aumento repentino, causato dal modo piuttosto maldestro con cui è stata gestita la chiusura della misura al Mimit – con la comunicazione sull’esaurimento delle risorse del 7 novembre scorso – rischia di ripetersi nuovamente. Infatti c’è da attendersi una ulteriore impennata delle prenotazioni sugli incentivi 5.0 dopo che il governo ha deciso di riaprire lo “sportello” fino al 27 novembre prossimo, decisione sancita dal decreto-legge licenziato venerdì dal Consiglio dei ministri. Da un lato questa impennata testimonia un redivivo interesse delle imprese verso gli investimenti in digitalizzazione ed efficienza energetica. Interesse che un po’ stupisce visto che Confindustria non ha mai mancato occasione di chiedere, a questo punto forse un po’ intempestivamente, la chiusura della misura perché considerata troppo complessa e scarsamente attrattiva. Dall’altro lato la corsa all’incentivo solleva interrogativi rilevanti; in primis in merito alla qualità delle migliaia di progetti presentati nelle ultime settimane ma soprattutto in merito all’impatto sui saldi di finanza pubblica.
Il principale nodo riguarda l’impatto sul deficit 2025. Già oggi la misura è potenzialmente scoperta per almeno 1,5 miliardi ma questa stima rischia di essere ottimistica se le prenotazioni proseguiranno al ritmo di 80/90 milioni al giorno. Poiché il costo dei crediti d’imposta generato dalle domande su Transizione 5.0 presentate entro il 2025, secondo le nuove regole Eurostat, deve essere contabilizzato sul deficit 2025 (a differenza di quanto avviene su Transizione 4.0), il governo potrebbe trovarsi di fronte a un deterioramento inatteso dei saldi di finanza pubblica. Una situazione davvero paradossale perché il governo dovrà correre ai ripari per trovare risorse aggiuntive su una misura che fino a poco tempo fa era ampiamente coperta da risorse Pnrr, prima di essere definanziata a fine settembre per quasi 4 miliardi di euro in occasione di una ennesima revisione del Piano recentemente approvata dalla Commissione europea. In un contesto già caratterizzato da margini di manovra limitati, il rischio è che il maggior onere generato imponga correzioni più drastiche nel breve periodo sul bilancio pubblico. Soprattutto se lo stesso Governo vorrà cercare di mantenere il deficit al di sotto del 3% del PIL come sta, meritoriamente, provando a fare per uscire dalla procedura di infrazione europea. Le tensioni sui saldi del 2025, se confermate e di entità significativa in seguito all’inatteso maxi tiraggio su Transizione 5.0, potrebbero avere un effetto diretto sulla costruzione della legge di bilancio 2026. Il governo potrebbe essere costretto a varare interventi di consolidamento più severi, con un possibile inasprimento delle misure fiscali, dalla riduzione di alcune agevolazioni fino all’introduzione di nuove forme di prelievo. Una prospettiva che rischia di rallentare ulteriormente la crescita nel momento in cui il sistema produttivo sta cercando di rafforzare la propria competitività attraverso proprio quegli investimenti incentivati da Transizione 5.0. In sintesi, l’accelerazione dell’ultimo mese, pur positiva per l’innovazione, espone il paese a un delicato equilibrio tra sostegno alle imprese e tenuta dei conti pubblici. Una sfida che il governo dovrà gestire con grande attenzione per evitare che un incentivo pensato per modernizzare il tessuto produttivo finisca per generare effetti indesiderati in grado di inasprire la pressione fiscale.