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Il punto

Stabili, quasi virtuosi, ma poco rilevanti: la foto dell'Italia in Europa

Davide Mattone

Meno di dieci anni eravamo sotto la lente d’ingrandimento dal punto di vista economico, ma eravamo capaci di ricoprire ruoli apicali. Oggi, siamo tra i più stabili in Europa, ma abbiamo un peso politico inferiore sia nelle cariche che nei ruoli amministrativi

Meno di dieci anni fa c’è stato un momento in cui Roma sembrava avere le chiavi dell’Ue: Mario Draghi alla Bce, Federica Mogherini Alto rappresentante per la politica estera, Antonio Tajani presidente del Parlamento europeo, Paolo Gentiloni Commissario europeo per gli affari economici. Paradossalmente, eravamo sotto la lente d’ingrandimento dal punto di vista economico, ma eravamo capaci di ricoprire ruoli apicali.

Oggi invece l’Italia è uno dei paesi più stabili politicamente in Ue, e sulla retta via dal punto di vista finanziario. Eppure, rispetto a 10 anni fa, ha un peso politico inferiore in riferimento alle cariche europee. Certo, dopo l’epoca d’oro di Draghi & co era impossibile che l’Italia restasse protagonista del risiko dei ruoli: è giusto che questi girino, e i paesi membri sono tanti. Ma forse oggi siamo un filo sottorappresentati sia nei top jobs che nella fascia subito sotto, ossia quei funzionari che preparano i dossier, presidiano le direzioni generali, coordinano i lavori in Europarlamento, e soprattuto, offrono al loro paese (l’Italia) un “servizio”. Ma andiamo con ordine: quali sono i top job ricoperti da italiani oggi?

Sul fronte delle cariche politiche, la mappa è rapida. In Commissione europea Raffaele Fitto è vicepresidente esecutivo con il portafoglio Coesione e riforme; una casella importante, ma lontana dal peso che aveva Gentiloni. Al Parlamento europeo abbiamo due vicepresidenti – Pina Picierno e Antonella Sberna – e un solo presidente di gruppo, Nicola Procaccini (Ecr). C’è poi Antonio Decaro che guida la commissione Ambiente, mentre Irene Tinagli (stimata a Bruxelles da tutti i gruppi politici, ed ex presidente della commissione Affari economici) è stata spostata alla commissione speciale sulla crisi abitativa, per fare posto proprio a Decaro (se non fosse che lui ora corre per la presidenza della Puglia: che ne sarà di quella commissione?). Dal punto di vista dei coordinatori delle commissioni parlamentari, secondo Euractiv, 36 su 192 coordinatori sono tedeschi, in gran parte del Ppe e dunque del Cdu, il partito di Ursula von der Leyen. L’Italia? Solo 18. C’è poi alla Bce Piero Cipollone con il dossier dell’euro digitale. E’ un incarico sensibile, ma il futuro del progetto è ancora incerto ed è più un’eredità dopo la staffetta con Fabio Panetta – diventato governatore della Banca d’Italia – che una vittoria costruita dall’Italia.

Nell’autorità antiriciclaggio appena nata (Amla) l’Italia ha ottenuto la presidenza con Bruna Szego, insediata a febbraio 2025 nella sede di Francoforte, dopo una corsa in cui la proposta di Roma sulla sede non era esattamente irresistibile. Nei ruoli amministrativi (direttori, vice, capi unità, coordinatori), la cui nomina è strettamente legata alle logiche politiche, la situazione non è rosea. La differenza è che questi funzionari restano anche quando cambiano le maggioranze, e possono aiutare i rispettivi esecutivi con i dossier europei. In Commissione i direttori generali italiani sono tre: Roberto Viola al digitale (Dg Connect), Sandra Gallina alla salute e sicurezza alimentare (Dg Sante), e il rientro di Stefano Sannino, oggi direttore generale per il Dg Mena e Golfo, dopo quattro anni da segretario generale all’Eeas con Borrell. Al Mes, infine, il segretario generale è Nicola Giammarioli. That’s all folks: fine della lista.

Ma è solo colpa del Governo Meloni? Non proprio. C’è un tema generale di qualità della classe dirigente. Il bacino di persone in grado di reggere una direzione generale a Bruxelles, un coordinamento di commissione o un’autorità è ristretto. Con un sostegno politico intermittente poi, dove la selezione passa troppo dalla linea politica del momento, l’esito è certo. Un nome valido ma vicino alla sinistra fatica a essere promosso da un governo di destra e viceversa. E ciò non può che voler dire più dipendenza dall’agenda altrui. Al contrario, per paesi come la Germania l’interesse nazionale a mandare avanti un funzionario tedesco prevale sul colore politico.

 

 

 

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