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Una riforma possibile
Il sistema di aliquote Irpef è ancora davvero efficiente? Una vecchia proposta nel cassetto
L’ennesima polemica sull’imposta sul reddito delle persone fisiche ignora come funziona davvero la progressività fiscale, e nasconde il vero nodo: un sistema troppo complesso per essere governato con precisione
Ormai da diverse settimane va avanti in Italia una discussione su una totale sciocchezza, e cioè che la manovra fiscale contenuta nella proposta di legge di Bilancio avvantaggerebbe i ricchi con la correzione dell’aliquota Irpef dal 35 per cento al 33 per cento per lo scaglione di reddito tra 28 mila e 50 mila euro. La sciocchezza non sta nel fatto che non sia vero che quando si corregge l’aliquota relativa a uno scaglione di reddito tutti redditi compresi nello scaglione stesso e tutti i redditi superiori, anche quindi i cosiddetti ricchi, ne hanno come effetto una riduzione di tasse.
La sciocchezza sta nel fatto di non dire chiaramente che anche quando si corregge l’aliquota più bassa relativa ai redditi più bassi, come è avvenuto negli anni precedenti, l’effetto si è avuto su tutti i redditi superiori. Nel caso in discussione è chiaro che i redditi sul limite basso dei redditi relativi all’aliquota corretta avranno una stessa percentuale di riduzione, e quindi un ammontare complessivo di riduzione fiscale minore dei redditi che si avvicinano al limite superiore. E’ anche vero che tutti i redditi superiori a quello scaglione di reddito ne godranno. Mi sembra, peraltro, che per la prima volta il governo ha adottato un marchingegno per fa sì che i percettori di reddito superiori ai 200 mila euro vengano a essere compensati in negativo, cioè da penalizzazioni compensative su altre poste fiscali. Nulla di male, anche perché un percettore di reddito appena superiore a 200 mila euro (reddito dichiarato) paga intorno ai 100 mila euro di tasse, e non è che il risparmio di qualche centinaio di euro lo faccia sentire molto sollevato. La sciocchezza è stupirsi di questi effetti fingendo di non conoscere il meccanismo che lo produce inevitabilmente.
Il tema è, quindi, se il sistema progressivo Irpef a scaglioni oggi vigente sia in qualche modo efficiente. Anche perché le aliquote su cui si discute nascondono, soprattutto per i redditi medio bassi, quale sia l’aliquota media effettiva in base alla quale ciascun contribuente paga effettivamente le tasse. Non è infatti chiaro a tutti, nonostante i tanti studi pubblicati, che i poveri pagano tasse zero, e i quasi poveri, cioè coloro i cui redditi rientrano nel primo scaglione pagano tasse bassissime in percentuale, molto al di sotto di quel che è indicato nell’aliquota dello scaglione stesso. Solo per i redditi molto alti l’aliquota media effettiva tende a convergere verso l’aliquota massima. Ma il problema principale, come il caso oggi in discussione mostra, è dato dalla complicazione tecnica di muoversi nella progressività dell’Irpef in modo mirato, cioè beneficiando solo i contribuenti con i redditi ritenuti meritevoli di alleggerimento fiscale da legittime decisioni politiche.
Questo è il motivo per cui al Mef, nel corso del governo Conte 1, è stata elaborata, su mia sollecitazione, una proposta di riforma del sistema di aliquote Irpef, ispirata indirettamente al cosiddetto “modello tedesco”. Si prevedeva una riduzione del numero di scaglioni, assicurando la progressività attraverso l’applicazione, all’interno di ciascuno scaglione, di una formula che determina una aliquota marginale che cresce in funzione lineare del reddito imponibile.
In particolare, il sistema che veniva ipotizzato differiva da quello tedesco in quanto prevedeva la determinazione, secondo una funzione crescente rispetto al reddito, di una aliquota unica (e quindi per definizione “media effettiva”) per ciascun contribuente da applicare all’intero ammontare del suo reddito imponibile. Quindi, al di sopra di una No tax area, in cui si applica un’aliquota pari a zero, si sarebbero applicate, secondo la proposta, aliquote crescenti al crescere del reddito secondo un profilo determinato. Tale struttura di imposizione era finalizzata a ottenere miglioramenti significativi in termini di flessibilità e trasparenza del sistema.
Dal punto di vista della flessibilità questo sistema, agendo direttamente sull’aliquota media dei contribuenti anziché sull’aliquota marginale dei singoli scaglioni, consente di indirizzare con maggiore efficacia specifiche politiche di riduzione del carico fiscale limitandone gli effetti alle platee di contribuenti oggetto di policy. A quel tempo, ad esempio, si discuteva di possibili tratti di flat tax per tratti della curva dei redditi, ampliabili a seconda delle possibilità di bilancio.
Dal punto di vista della trasparenza, questo sistema consente a ciascun contribuente di conoscere perfettamente l’aliquota media di imposta a cui è assoggettato il suo reddito, ovvero quanta parte del suo reddito è oggetto di prelievo fiscale.
Certamente, un sistema così differente dall’attuale, semplice nell’applicazione anche se articolato nel disegno della progressività continua, richiedeva approfondimenti, politici e tecnici. Non feci in tempo a presentare la proposta al governo di cui facevo parte, perché il governo cadde proprio quando si elaborava la manovra di Bilancio successiva e la discussione, anche politica, sulla proposta rimase del tutto interna al Mef, anzi interna al Dipartimento delle finanze. Tuttavia, essa fu consegnata al presidente del Consiglio e al ministro dell’Economia e delle Finanze del governo successivo (cosiddetto Conte 2) al momento del passaggio delle consegne.
Al Mef dovrebbero avere anche gli studi quantitativi allora effettuati, con grande serietà scientifica, sulla praticabilità tecnica della proposta. La praticabilità politica non spetta a me giudicarla. Allora la proposta non fu presa in considerazione dal governo a cui la consegnai, forse anche perché arrivò il Covid. Tuttavia, penso che il tema sia ancora attuale.