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Le mani sull'oro
“Neppure Trump è arrivato a tanto”. Baglioni spiega i rischi di giocare sulle riserve auree
Il direttore dell’Osservatorio monetario dell’Università Cattolica ci spiega perché "ha poco senso" l’emendamento presentato in Parlamento da Fratelli d’Italia
“Neanche Trump è arrivato a reclamare l’oro della Federal Reserve”. Comincia con una battuta Angelo Baglioni, direttore dell’Osservatorio monetario dell’Università Cattolica, economista e già membro del Banking Stakeholder group dell’Eba, l’autorità bancaria europea. Per Baglioni l’emendamento presentato in Parlamento da Fratelli d’Italia – “Le riserve auree gestite dalla Banca d’Italia appartengono allo stato in nome del popolo italiano” – appare come un’enunciazione “vuota” perché nel concetto di stato è compresa un’istituzione come la Banca d’Italia, che pur essendo di origine bancaria e quindi privata, svolge funzioni di grande rilevanza pubblica e fondamentali per il funzionamento del sistema paese e dell’Eurozona. “In più, quasi tutti i profitti che la Banca d’Italia realizza grazie alle attività del suo bilancio vengono trasferite ogni anno allo stato”.
In effetti, nell’ultimo quinquennio da via Nazionale sono arrivati nelle casse del Tesoro circa 18 miliardi, di cui 14 sotto forma di utili e 4 sotto forma di imposte. “Facciamo un esempio, se per ipotesi la Banca d’Italia vendesse parte del suo oro, dovrebbe comunque trasferire allo stato le plusvalenze ricavate. Per questo, dico che ha poco senso chiedere un cambio di proprietà delle riserve perché due sono i casi: si tratta di un’azione di pura propaganda oppure è l’anticamera di qualcos’altro, cioè di una politica di esproprio che punta a impossessarsi delle riserve auree per destinarle ad altri scopi”. Naturalmente, Bankitalia non vende oro sui mercati, ma beneficia della sua crescita di valore.
Qualche dato aiuta a capire: come risulta da fonti ufficiali, la Banca d’Italia detiene 2.452 tonnellate di oro, di cui il 43 per cento è depositato proprio negli Stati Uniti, il 6 per cento in Svizzera e il 6 per cento nel Regno Unito. Al 31 dicembre 2024, nel bilancio dell’istituto risultano iscritte 198 miliardi di riserve auree che, dopo il boom del metallo giallo registrato da inizio anno, sono salite a 275 miliardi al 31 ottobre su un totale di riserve ufficiali (che comprendono anche le monetarie e di altri tipi) pari a 350 miliardi. Certo che si tratta di un’enorme ricchezza, e per fortuna. Basti pensare che il prezzo di acquisto storico di queste riserve auree è stato pari a 20 miliardi. Il processo di accumulo che si è verificato in oltre 130 anni di storia, ha contribuito a far diventare la Banca d’Italia uno dei pilastri dell’Eurosistema. Infatti, nel 1998-99, parte delle sue riserve sono state conferite alla Bce contribuendo a creare la terza banca centrale del mondo per dimensione totale degli attivi, dopo la Fed e la Bank of Japan.
“Non è la prima volta che qualche forza politica rivendica la proprietà delle riserve auree – prosegue Baglioni – ma le ragioni per cui è improponibile sono giuridiche ed economiche. La prima è che violerebbe i trattati europei sottoscritti dall’Italia ,che prevedono che tutte le riserve in oro e valute vengano gestite dalle banche centrali e non dagli stati. La seconda è che contrasta con la fondamentale necessità di preservare l’autonomia della Banca d’Italia all’interno del sistema Bce che decide la politica monetaria liberamente e indipendentemente dai desideri dei governi”. In pratica, se anche, come qualcuno afferma cercando di sminuire la portata della proposta di FdI, si trattasse solo di un cambio formale e non sostanziale della proprietà dell’oro, perché sempre nel sistema Italia resta, avrebbe comunque un effetto destabilizzante sotto vari aspetti.
Ma perché non è pensabile utilizzare queste risorse, il cui valore sta crescendo a dismisura, per sostenere, per esempio, una manovra economica o per ridurre il debito pubblico? “E’ impossibile sul piano tecnico, a meno che non si riveda l’atto costitutivo dell’Unione europea, poiché la funzione delle banche centrali è un’altra: garantire la stabilità dei prezzi nel lungo periodo attraverso la leva dei tassi di interesse. Minare l’indipendenza economica della Banca d’Italia equivale a condividere l’idea che la politica monetaria debba finanziare i governi e le loro politiche pubbliche nel breve periodo”. Negli Stati Uniti è in atto un tentativo del genere? “Esatto, ma i mercati sono molto preoccupati di questa tendenza perché sanno che manipolare il livello dei tassi è molto rischioso. Trump, però, che pure sta esercitando grandi pressioni sulla Fed, arrivando persino a modificare in parte l’assetto del board, non si è sognato, almeno fino a oggi, di avanzare qualche richiesta sull’oro americano”. Il governo di Meloni, o meglio il suo partito, si è portato avanti.