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l'analisi

La crescita non si ottiene con più demagogia ma con più efficienza. Un'idea: Zes unica per tutta l'Italia

Nicola Rossi

Dove Spagna, Portogallo e Grecia hanno scelto riforme profonde e rapide, l’Italia ha preferito rinvii e misure tampone. Ma senza completare l’aggiustamento dei conti e affrontare le riforme evitate per anni, la ripresa resterà un miraggio

Spagna e Portogallo, per uscire dalla crisi che le aveva investite, chiesero il supporto dell’Unione Europea (la prima) e della trojka (il secondo) rispettivamente nel 2011 e nel 2012, uscendone nel 2014 e nel 2013. Il terzo piano di salvataggio della Grecia, concordato con la trojka, è datato 2015 e può considerarsi concluso nel 2018. Fra il 2015 e il 2025 il prodotto interno lordo della Spagna è cresciuto dello 0,8% più della media dell’area dell’euro. Fra il 2014 e il 2025, nel caso del Portogallo, la differenza è stata pari allo 0,6%. Fra il 2019 e il 2025, nel caso della Grecia, allo 0,8%. In media, conclusi i piani di aggiustamento, i tre paesi sono cresciuti una volta e mezza più dell’area dell’euro. Com’è ovvio, il Pnrr c’entra poco o nulla. C’entrano, e molto, i contenuti dei piani di aggiustamento – ivi incluse le riforme che vi erano comprese – e la sostanziale condivisione di quei contenuti da parte di componenti ampie e significative di quelle società. Una condivisione favorita dal radicamento spesso profondo e di lunga durata delle forze politiche principali di quei paesi.

L’Italia (che un problema di crescita ce l’aveva da tempo) si è sempre rifiutata di avere un piano di aggiustamento e solo da tre anni ne ha adottato uno ma limitato all’ambito – peraltro essenziale – della finanza pubblica e ancora non completato. Detto in altri termini, venire rapidamente a patti con la realtà ha consentito a Spagna e Portogallo di invertire la rotta e recuperare il terreno perduto. Farlo con riluttanza ha protratto oltre il dovuto le sofferenze della Grecia ma da qualche anno vi sta ponendo fine. Non farlo affatto, almeno fino a tre anni fa e ancora parzialmente, ha impedito e – dovrebbe essere ormai chiaro anche a chi in questi ultimi anni ha chiuso gli occhi – impedisce tutt’ora all’Italia di riprendere il cammino della crescita. Non avendo voluto accedere, quando potevamo, all’idea di un insieme di interventi condiviso e di lungo termine, optando spesso obtorto collo per interventi a carattere per lo più emergenziale e privi di una logica complessiva, ha reso e sta rendendo molto più lento e socialmente più costoso il ritorno all’equilibrio.

In questo quadro, invocare il ricorso al bilancio pubblico – come molti con certezza faranno già oggi – per sostenere i ritmi di crescita è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Dopo l’esperienza del superbonus e del Pnrr bisognerebbe essere ciechi per non vederlo (e, infatti, saranno in molti a non vederlo). Al contrario, l’aggiustamento della finanza pubblica va portato a termine nei modi e nei tempi previsti. Senza tentennamenti e a partire dalla legge di bilancio in discussione in Parlamento. È al contempo necessario – se veramente tornare a crescere ci interessa – porre mano alle questioni che abbiamo accuratamente evitato di affrontare. E, dove possibile, già oggi. Estendendo la componente amministrativa della Zes unica a tutto il paese già con questa legge di bilancio (servirà del personale aggiuntivo, presumibilmente, e quindi non si potrà non rivedere qualche posta di bilancio). Imponendo una velocità di crociera radicalmente diversa al processo di semplificazione (che ci crediate o no delle 50 semplificazioni che riguardano le attività produttive una sola riguarda le attività innovative e 48 le attività commerciali e artigiane e – udite, udite! – le falegnamerie sono finalmente una “attività libera”). Gettando alle ortiche la risibile immagine dello “Stato stratega” e avviando concretamente il processo di uscita dello stato dal comparto bancario, e non solo da quello, a partire dal Mezzogiorno. Ponendo le basi oggi – intervenendo sul versante della spesa (a partire dalle cosiddette spese fiscali) – per la significativa riduzione della pressione fiscale che non potrà non essere contenuta nella legge di bilancio per il 2027. E sono solo alcuni esempi. I sondaggi di opinione suggeriscono che un segmento ampio dell’opinione pubblica italiana abbia apprezzato il senso e le ricadute di una finanza pubblica ordinata. Non era scontato ed è merito di chi questa inversione di rotta delle politiche di bilancio ha voluto e attuato. Questa ritrovata consapevolezza andrebbe preservata e su di essa si dovrebbe oggi fare leva per tornare a crescere.

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