Il ministro Giancarlo Giorgetti con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni (foto LaPresse)

Mani legate per i miliardi mal spesi

I rischi di un azzardo chiamato patrimoniale

Roberto Perotti

Una tassa pensata male che riduce crescita e investimenti alla fine danneggia proprio le fasce più deboli

Nel quadriennio tra il 2020 e il 2023 la spesa pubblica italiana è stata più alta che nel biennio 2018-19 per ben 180 miliardi l’anno, ogni anno per quattro anni: 720 miliardi in totale, quasi un terzo del pil. Una enormità, la seconda più grande espansione della spesa pubblica di questo secolo tra tutti i paesi occidentali. 
Parte di questo aumento è dovuto ai ristori del Covid, ma i vari bonus edilizi (230 miliardi) e il Pnrr (240 miliardi) fanno la parte del leone. I primi sono il frutto dell’idea dura a morire che mattoni e cemento siano il modo più efficace e veloce di stimolare l’economia; per il secondo abbiamo deciso, per motivi di immagine e unici tra i grandi paesi della Ue, di prendere subito tutti i soldi disponibili, con troppo pochi mesi per decidere come spenderli e troppo pochi anni per spenderli bene. 

 

Oggi tutti parlano di redistribuzione di reddito e ricchezza, ma la realtà è che abbiamo le mani legate perché abbiamo speso centinaia di miliardi su una misura notoriamente regressiva oltre che inefficace, il Superbonus; e altrettanti sul Pnrr, con le sue migliaia di misure spesso improvvisate e in certi casi inutili. Eppure con la metà di 720 miliardi avremmo potuto attuare la più grande, duratura e virtuosa redistribuzione del reddito e della ricchezza della nostra storia incentivando al tempo stesso la crescita. Per esempio, si poteva attuare un piano asili e di sostegno alla maternità seri. Invece il  piano asili del Pnrr è prevedibilmente fallito perché stanzia fondi per costruzione e ristrutturazione, non abbastanza per coprire i costi di gestione.

 

I fautori del Pnrr diranno che il piano asili ha raggiunto il target di nuovi posti disponibili, ma non dicono che il target nel frattempo è stato dimezzato, a parità di spesa.

 

Oppure un piano per gli studentati universitari, per favorire il diritto allo studio. Anche questa voce del Pnrr ha avuto enormi difficoltà a causa della fretta, e anche in questo caso il target di nuovi posti  è stato dimezzato; e non è chiaro se nemmeno quello verrà raggiunto.

 

Oppure ancora un piano giovani per le periferie, tra cui per esempio un programma capillare di campi di calcio e  pallacanestro e di piscine – il modo migliore per integrare i giovani e tenerli lontani dalla strada. Ma i pochi soldi del Pnrr per le periferie sono stati quasi tutti “rimodulati”: inevitabilmente, perché erano stati pensati in fretta e male.

 

Oppure una riforma non a costo zero della scuola, il punto di partenza di ogni redistribuzione duratura. Il Pnrr non lesinava voli pindarici: si parlava di “metaverso” “eduverso”, “apprendimento onlife” “esperienze didattiche immersive attraverso la virtualizzazione”, “continuum educativo scolastico tra lo spazio fisico lo spazio virtuale”. Peccato che famiglie e insegnanti chiedessero semplicemente risorse per cose come il tempo prolungato e attività formative, di sostegno e di integrazione: attuate in rari casi, e destinate a sparire con la fine dei fondi Pnrr il prossimo anno.

 

Infine la sanità, forse l’esempio più eclatante: abbiamo speso decine di  miliardi per rifare i tetti delle villette a spese del contribuente, e ogni anno non riusciamo a trovare pochi miliardi per la sanità, la priorità numero uno degli italiani in tutti i sondaggi.

 

Si obietterà che il Pnrr ci imponeva dei vincoli. Ma nessuno ci ha obbligati a prendere tutti quei soldi, e in ogni caso i vincoli potevano essere negoziati – senza l’Italia il piano europeo di Ripresa e Resilienza sarebbe fallito. Non è molto intelligente fare un mutuo triplo del necessario e rovinare così i nostri figli solo perché la banca ce lo offre.

 

Così oggi quelle stesse forze che hanno voluto Superbonus e Pnrr si ritrovano a invocare la patrimoniale per redistribuire ricchezza. Personalmente non sono contrario a priori a una tassazione della ricchezza, ma è importante essere realisti. Una patrimoniale porterà sempre una piccola frazione dei soldi sperperati  con il Superbonus e parte del Pnrr, perché, che ci piaccia o no, una delle prerogative di avere tanti soldi è che si può decidere dove tenerli, e persino di andarsene se si ritiene di essere tassati troppo.   Ovviamente una soluzione teorica è la patrimoniale europea di Elly Schlein o meglio ancora quella mondiale di Giuseppe Conte. Altrettanto ovviamente sono proposte attualmente senza alcuna possibilità di successo, del tipo “armiamoci e partite”. 

 

Una soluzione realistica non è immediata, e  una tassa pensata male che riduce crescita e investimenti alla fine danneggia proprio coloro che vorrebbe beneficiare, le fasce più deboli. Per esempio, le tasse di successione sono uno strumento teoricamente potente di redistribuzione e soprattutto di mobilità sociale, e in Italia sono tra le più basse dei paesi industrializzati. Non ci sarebbe nulla  di scandaloso ad alzarle, ma vanno studiate bene: tra l’altro potrebbero avere  riflessi negativi sulle aziende familiari medio-piccole, che per buoni o cattivi motivi sono la spina dorsale della economia italiana. 

 

Nel contesto italiano, così sospettoso della tassazione della ricchezza, la patrimoniale è una cartuccia che si può sparare una sola volta, e va pensata bene. Fare ancora una volta proposte improvvisate serve solo a screditare la proposta stessa.

  


 

Con questo articolo Roberto Perotti, economista, professore ordinario di Economia politica presso l’Università Bocconi di Milano, inizia la sua collaborazione con il Foglio.

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