anatomia di un'ipotesi

Tassa sull'oro, come funziona la rivalutazione al 12,5 per cento che potrebbe entrare in manovra

La proposta di emendamento introduce una rivalutazione agevolata dell’oro da investimento senza documentazione d’acquisto: ecco cosa prevede, chi può aderire, quanto si paga e quanto ne possiedono i privati in Italia. La scheda

In questi giorni si sta discutendo, nel dibattito sulla legge di bilancio, dell’ipotesi di una misura dedicata all’oro da investimento detenuto dai privati, con l’obiettivo di facilitarne l’emersione fiscale e generare nuovo gettito. Non si tratta di una patrimoniale, ma di una procedura di rivalutazione agevolata che consentirebbe allo stato di incassare risorse immediate e ai contribuenti di regolarizzare la posizione dei propri lingotti, monete e placchette privi di documentazione d’acquisto. La proposta è allo studio e potrebbe essere introdotta come emendamento alla manovra. L’emendamento è stato proposto da Giulio Centemero (Lega) e Maurizio Casasco (Forza Italia).

 

Cos’è davvero la “tassa sull’oro” (che tassa non è)

L’ipotesi in discussione – una misura, dicono i proponenti, “utile ed opzionale”  – è una rivalutazione agevolata dell’oro da investimento. La regola attuale è semplice: se vendi una sterlina d'oro ricevuta in regalo alla Prima Comunione e non hai la prova di quanto l’hai pagata, il fisco ti tassa al 26 per cento sull’intero valore. Non sulla plusvalenza: proprio su tutto. La nuova proposta ribalterebbe il meccanismo: chi detiene oro da investimento senza documentazione potrebbe chiedere una rivalutazione fiscale presso un intermediario abilitato; sull’importo rivalutato pagherebbe una aliquota ridotta al 12,5 per cento (invece del 26). Una volta “affrancato” il valore, ogni futura vendita verrebbe tassata al 26 per cento solo sulla plusvalenza, finalmente calcolabile. In altre parole: il 26 per cento si pagherebbe solo sulla differenza tra valore rivalutato e prezzo di vendita. Un meccanismo che mutua la logica dell’“affrancamento” già usata per titoli e partecipazioni. La finestra per aderire, ma anche qui si tratta per il momento solo di ipotesi, sarebbe fino al 30 giugno 2026.

 

Perché allo stato conviene

La ragioneria politica è semplice: se anche solo il 10 per cento dell’oro privato emergesse (come riporta la relazione che accompagna la proposta), nelle casse pubbliche entrerebbero immediatamente 1,7–2 miliardi di euro. Fondi freschi, da usare per compensare l’aumento della tassazione sui dividendi delle partecipazioni non qualificate (che costa circa 1 miliardo a regime) e alleggerire altre voci della manovra. Insomma, per tappare quelle micro-falle che si aprono nella legge di bilancio. In più, l’obiettivo dichiarato è anche un altro: far uscire dal limbo fiscale una parte significativa dell’oro fisico, oggi blindato nelle cassette di sicurezza proprio per evitare l’incertezza del trattamento tributario.

Per il governo, l’incentivo alla rivalutazione ha la virtù politica di non toccare nessuno che non vuole aderire (non è unna patrimoniale ma una libera scelta), non pesare sul reddito, colpire solo un patrimonio reale, ma di fatto immobilizzato, e portare molto gettito in pochissimo tempo. È la classica misura che un governo può spiegare senza arrossire.

   

Perché al cittadino potrebbe non dispiacere

Il cittadino italiano non ama la parola tassa, ma ama ancor meno la sensazione di essere penalizzato senza colpa. Questa ipotesi abbasserebbe il costo dell’emersione e restituirebbe libertà di vendere senza subire un prelievo sul valore intero dell'oro. Ttrasformerebbe così un bene sostanzialmente “immobile” in un bene liquido, con un prezzo certificato e riconosciuto. In pratica: il fisco ti chiede qualcosa, ma in cambio ti dà certezza.

 

Quanto oro c’è davvero nelle case degli italiani

Secondo varie valutazioni, l’oro privato complessivo in Italia potrebbe raggiungere 4.500–5.000 tonnellate per un valore stimato di 499–550 miliardi di euro, considerando il prezzo di mercato dell'oro attualmente di circa 111mila euro al chilo. Solo una parte di questo sarebbe oro da investimento, circa il 25–30 per cento, cioè 1.200–1.500 tonnellate. Un patrimonio parallelo, spesso ereditato, raramente dichiarato e quasi mai movimentato. Un tesoretto dormiente che il governo vorrebbe svegliare.

   

Altre ipotesi di modifica alla manovra

Oltre alla tassa sull’oro, la manovra 2026 è al centro di numerose altre ipotesi di modifica. Tra i temi principali ci sono gli affitti brevi: Forza Italia e Lega spingono per cancellare l’aumento della tassazione al 26 per cento, mentre Fratelli d’Italia lo considera importante ma non prioritario. Sui dividendi si valutano cambiamenti alla soglia di partecipazione, con opzioni che vanno dal 10 per cento al 5 per cento o l’introduzione di una soglia di reddito qualificata a 1,2 milioni di euro. Per l’Irap si sta studiando l’esclusione di alcune holding finanziarie, mentre tra gli interventi più mirati figurano quelli per le forze dell’ordine e la compensazione dei crediti. La Transizione 5.0 potrebbe ricevere un incremento rispetto ai 4 miliardi già stanziati, estendendo l’incentivo fino al 2028. Infine, sul fronte pensioni e rottamazione la Lega propone ampliamenti, mentre Forza Italia punta a ridurre la tassazione su imprese, casa e sicurezza, in collaborazione con il Mef e gli alleati. In sostanza, i gruppi parlamentari stanno concentrando l’attenzione sulle priorità tra migliaia di emendamenti, cercando soluzioni che abbiano un impatto concreto e immediato sul bilancio.