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editoriale

Il pericoloso paradosso europeo del carbonio

Redazione

Una norma nata per proteggere l’industria ma rischia di aggiungere solo burocrazia. La competitività europea continua a essere prigioniera di un dirigismo che conosce limiti in nome della riduzione dei gas serra, la cui responsabilità europea pesa per il 6 per cento del totale mondiale

La macchina delle complicazioni europee ha prodotto un ulteriore meccanismo che entra in vigore dal prossimo anno. Si chiama Cbam ed è l’acronimo di Carbon Border Adjustment Mechanism. In pratica un dazio ambientale che si paga sull’importazione di alcuni materiali, cemento, acciaio, alluminio, fertilizzanti, alcuni prodotti chimici ad alta intensità di carbonio. Lo scopo sarebbe quello di creare condizioni di parità fra le produzioni europee che pagano la tassa sul carbonio nota come Ets e i materiali che vengono importati e limitare i processi di delocalizzazione, vale a dire il trasferimento di queste attività all’estero onde evitare di pagare l’ Ets. In effetti buona parte della riduzione delle emissioni europee è dovuta al fatto che settori decisivi, come quelli sopra elencati, hanno perso quote di produzione in Europa superiori mediamente al 20/30 per cento. In pratica produciamo meno CO2 in Europa, ma la importiamo dall’estero. Ma anziché eliminare una delle cause di questa caduta produttiva, vale a dire la tassa europea sul carbonio, Ets, si intende compensarla con un analogo dazio sui materiali importati. L’obbligo sta in capo agli importatori e già si immaginano tutte le elusioni che saranno messe in campo per certificare basse o inesistenti quantità di carbonio utilizzando tutti i meccanismi che possono esentare dal dazio. Inoltre, mentre se importo acciaio per realizzare un’automobile pago dazio, se importo direttamente l’automobile, ma questo vale anche per una lavastoviglie, una lavatrice ecc., non lo pago. Facile immaginare nuove fabbriche sorgere in paesi extraeuropei. Ma quel che più stona è il fatto che esiste una proporzionalità fra la tassa ambientale che si paga in Europa e il dazio per chi importa. Nei prossimi anni le quote di emissioni che erano concesse gratuitamente a questi settori andranno in progressiva riduzione, aumentando quindi i costi per i produttori. La competitività dell’industria europea continua insomma a essere prigioniera di meccanismi astrusi e di un dirigismo che non conosce limiti in nome della riduzione dei gas serra, la cui responsabilità europea pesa per il 6 per cento del totale mondiale.

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