Ansa
L'intervento
Transizione 5.0, simbolo di una politica industriale scarsa e confusa
Il piano è stato reso operativo con molti mesi di ritardo. Le imprese hanno dovuto districarsi tra procedure complesse, dubbi interpretativi e continue modifiche delle piattaforme informatiche. Solo dopo l’intervento di semplificazione le domande hanno finalmente preso ritmo. Ma era ormai troppo tardi
La gestione pasticciata del piano Transizione 5.0 è il simbolo delle contraddizioni della politica industriale di questo governo. Un piano nato con obiettivi condivisibili – sostenere la digitalizzazione e la decarbonizzazione delle imprese – ma reso operativo con molti mesi di ritardo, e soprattutto con regole iper-burocratiche che ne hanno paralizzato l’avvio. Le imprese hanno dovuto districarsi tra procedure complesse, dubbi interpretativi e continue modifiche delle piattaforme informatiche. Solo dopo l’intervento di semplificazione le domande hanno finalmente preso ritmo. Ma era ormai troppo tardi: la scadenza legata alle risorse del Pnrr incombeva e il definanziamento del Piano era inevitabile. Ma la successiva decisione di bloccare le domande da un giorno all’altro, per poi riaprirle temporaneamente fino a fine anno, ha aggiunto caos e incertezza. Ora serviranno centinaia di milioni aggiuntivi per coprire le richieste rimaste sospese.
Questa gestione approssimativa e confusa si inserisce in un quadro più ampio di indebolimento complessivo delle politiche industriali. Le risorse destinate al rilancio del settore manifatturiero sono state infatti progressivamente ridotte dal governo Meloni. Se la scorsa legge di Bilancio si era segnalata (negativamente) per il quasi-azzeramento del fondo automotive – una scelta sconsiderata, nel momento di massima crisi del comparto – questo disegno di legge di Bilancio conferma il sostanziale definanziamento del programma di spesa del Mimit dedicato alle politiche industriali, che valeva 3,9 miliardi quest’anno ma scenderà a 2,1 miliardi nel 2026, 1,4 miliardi nel 2027 e poco meno di 1 miliardo nel 2028. Un crollo del 75 per cento in tre anni! Anche la nuova edizione del piano Transizione 5.0 prevista per il 2026, finanziata con fondi nazionali, delude le aspettative. I 4 miliardi stanziati – frutto degli spazi di bilancio liberati dalla rimodulazione del Pnrr – sono una cifra insufficiente: basteranno appena a coprire investimenti già decisi, senza generare nuovi progetti. Per dare un impulso reale alla produttività servirebbe un orizzonte almeno triennale con una dotazione ben più consistente, non interventi-spot di un solo esercizio.
Ma il governo ha scelto altre priorità. In una legge di Bilancio povera di risorse e di visione, si trovano fondi per la rottamazione delle cartelle (2,5 miliardi in tre anni per un nuovo simil-condono mascherato) ma non per un serio piano di politica industriale. Qualche segnale positivo – ma sono eccezioni in un quadro per il resto desolante – arriva dal rifinanziamento della Nuova Sabatini e del credito d’imposta Zes unica. Proprio la Zes potrebbe dare lo spunto per una misura qualificante, che proveremo a proporre in Commissione bilancio: l’estensione dell’autorizzazione unica semplificata della Zes a tutto il territorio nazionale, una misura a costo zero che aiuterebbe molto ad accelerare i tempi di molti investimenti produttivi.
Manca del tutto una strategia sul costo dell’energia, uno dei principali fattori di svantaggio competitivo dell’industria italiana, su cui si potrebbe agire a costo zero per le casse dello stato. E resta senza risposte il nodo del futuro del Fondo centrale di garanzia per le pmiI, cruciale per mantenere aperti i canali del credito bancario verso il sistema produttivo. Il bilancio complessivo della manovra per l’industria è in generale per la crescita è dunque largamente insoddisfacente. Lo ammettono, indirettamente, anche i numeri del governo: nel Documento programmatico di finanza pubblica, il ministro Giorgetti scrive nero su bianco che la legge di Bilancio per il 2026 avrà un impatto negativo sugli investimenti e nullo sul pil. Una pessima notizia per un paese intrappolato da mesi nella stagnazione, che senza la spinta del Pnrr sarebbe in recessione e che avrebbe bisogno di tutt’altro: di una politica industriale stabile, ambiziosa e orientata al futuro, capace di accompagnare la transizione tecnologica ed ecologica, anziché rincorrere emergenze e tamponare errori.
Antonio Misiani, responsabile Economia e Imprese del Partito Democratico