Gianni Agnelli con la moglie Marella Caracciolo e la sorella Susanna (foto LaPresse)

Il Foglio Weekend

Citofonare Agnelli: le case dell'Avvocato sono un grande romanzo immobiliare

Michele Masneri

Dalla Villa Frescot sulle colline di Torino all’appartamento davanti al Quirinale. La “Succession” italiana si gioca anche sul mattone

Non ci sono solo le beghe ereditarie, le indagini e i patteggiamenti, la possibile vendita dei quotidiani del gruppo, la crisi dell’automobile. La “Succession” italiana, cioè la incasinatissima soap opera di quel che resta di casa Agnelli, è anche un grande romanzo immobiliare, una “open house” diffusa su scala nazionale tra le residenze un tempo dell’Avvocato capo della Fiat e della moglie Marella, e oggi in  parte in vendita. A Villa Frescot, la residenza settecentesca sulle colline di Torino, è tutto un via vai, in questi mesi, di possibili compratori, anche un po’ di turisti immobiliari, quelli insomma non proprio intenzionati a comprare, l’incubo di ogni agenzia, sfaccendati voyeur del mattone; e di feticisti vari, in questo caso, vista la straordinarietà degli ex proprietari. Se infatti quando andiamo a visitare una casa in vendita adocchiamo libri e suppellettili scampate agli inventari e ai traslochi cercando di immaginare la personalità dei vecchi abitanti, nel caso di ex proprietari celebri la questione assume aspetti parossistici.

 

La villa sulla collina di Torino, in Strada San Vito,    era stata comprata a fine anni Sessanta dall’Avvocato, perché iniziava il periodo “caldo” del terrorismo e dei rapimenti ed era meglio sloggiare da Corso Matteotti, in centro. Ristrutturata dall’architetto sartoriale Renzo Mongiardino, con Marella che per il restauro filologico  faceva rifare le tappezzerie ai suoi artigiani di fiducia elvetici, e affidava il giardino al solito Russell Page, dopo la morte dell’Avvocato la villa è andata in eredità come molti beni immobili alla figlia Margherita con nuda proprietà a Marella (che pagava un affitto). Alla morte  della nonna, John Elkann, che ama il posto, l’ha presa in affitto lui, ma poi a un certo punto ha chiesto alla mamma di poterla acquistare, ricevendo un bel “no”. Allora il capo di Stellantis se n’è andato e si è comprato un terreno più sopra e si è costruito la casa, mentre il vecchio maniero sta lì inabitato, e in vendita, si dice per una cifra attorno ai cinque milioni di euro. Cifra scesa nel tempo, perchè alcuni compratori hanno fatto marcia indietro.  Come per esempio la sceicca  Al Mayassa bint Hamad Al-Thani,  sorella dell’attuale emiro del Qatar, che si occupa d’arte  e che intendeva prendere Frescot insieme al Palazzo del Lavoro, disegnato da Nervi, per farci un centro polifunzionale, ma poi ha cambiato idea, forse scontenta per le interlocuzioni con le autorità torinesi. Intanto il prezzo scende (e chissà che Imu!).     

 

Raccontano al Foglio che nelle visite immobiliari all’augusto compound agnelliano diversi  possibili compratori siano interessati più che all’architettura e a certe questioni delle case di noi comuni normali – gli impianti sono da rifare o no? il riscaldamento è autonomo? E’  stato fatto il cappotto termico? Magari col 110? – a certi reperti, come i molti abiti dell’Avvocato che si trovano ancora negli armadi, ed è tutto un guardare, osservare, toccare le stoffe, qualcuno se li prova pure, i leggendari doppiopetti, insomma un happening più che una visita immobiliare. Il più papabile compratore di Frescot pare sia oggi Matteo Sardagna, vignaiolo-dandy, bisnipote di Luigi Einaudi e gestore degli omonimi tenimenti. Erede di 150 ettari di terreno di cui 60 a vigneto, e un relais;   a quel punto, perché non farsi un regalo, come la casa dell’Avvocato, con dentro pure il guardaroba (“Walk in”, come direbbe Gianluca Torre, il famoso agente immobiliare instagrammatico)? Acquisto a cancelli chiusi, come si dice, e a un prezzo che ormai non ti prendi neanche una bella casa a Milano (vabbè). A proposito di presidenti della Repubblica, l’altra magione più nota in vendita della galassia agnelliana sta a Roma nel palazzo davanti al Quirinale, opera di Gaetano Koch, il Boeri della Roma umbertina (Banca d’Italia, piazza Esedra, ambasciata americana ecc.). Sede di storiche foto (quella con Fidel Castro, che  passò a cena un bel giorno) e leggende, l’appartamento Agnelli in via XXIV maggio  svetta in altezza superando  la casa del capo dello Stato,  con tutti i sottotesti e i sottintesi per la monarchia ufficiosa che per cent’anni ha governato l’Italia.

 

Un palazzo che sarebbe degno di un film o serie, una specie di Dakota Building del potere e della ricchezza. Intanto quello di Gianni era l’unico  appartamento acquistato, nel palazzo, e non in affitto dai proprietari di tutto il resto, i conti Carandini. Ci fu il Carandini primo ambasciatore a Londra del dopoguerra e presidente dell’Alitalia, e oggi l’archeologo Andrea. L’illustre prosapia di origine emiliana ne era entrata in possesso per via ereditaria; nel 1915 infatti il senatore Luigi Albertini aveva acquistato il palazzo. Albertini, un marchigiano trapiantato a Milano, era, spieghiamo per i più piccini, un politico liberale che divenne direttore e azionista del Corriere della Sera. Nel ’25, in quanto antifascista viene cacciato  da Mussolini, e dunque si trasferisce a Roma. Compra anche la tenuta di Torre in Pietra sul mare ancor oggi della famiglia. La figlia Elena (1902-1990) sposa appunto il conte Niccolò Carandini, insieme al quale mettono su la immane tenuta  con  mucche.   Una leggenda voleva che l’Avvocato l’avesse vinto a carte, l’appartamentone, dai Carandini, ma è impossibile perché l’avvocato odiava le carte.  Comunque, talmente antifascista, la stirpe Albertini-Carandini, che si narra che a un certo punto Mussolini per impallargli la vista fece costruire davanti quello strano palazzone tutto pinnacoli che è la sede dell’Inail, su via IV novembre, dall’architetto Armando Brasini.

 

L’appartamento di Gianni stava sotto quello della sorella Susanna, all’attico, e non era stato ristrutturato dai vari architetti della real casa (Agnelli) cioè i Mongiardino o le Gae Aulenti bensì da un americano oggi dimenticato, Ward Bennett. Rispetto ad altre case Agnelli si può dire che questa faccia parte del filone modernista, un po’ tipo l’appartamento milanese in Brera fatto da Gae Aulenti coi tavoli da pranzo ex officine Fiat, e le pecore dei Lalanne, visto anche alla mostra della “Gae” in Triennale. O la Villa Bona un po’ Hollywood Party sempre sulle colline torinesi, poi residenza del povero Edoardo. Ma a Roma, inizialmente era previsto pure un tetto semovente, ma fu considerato infattibile, e abbandonato. Rivestimento in “total” travertino, soffitti altissimi, vista micidiale su tutta la città, eccetera.  “Davanti al Quirinale, le stuoie sul pavimento, gli alberi di limone, le opere di Jasper Johns” scrisse l’arredatrice Annalaura Angeletti nelle sue memorie; “A Marella ho dato i tavoli di corno che ho visto a New York al Whitney Museum e che avevo fatto rifare da artigiani romani perché la casa era stata fatta benissimo da un certo Ward Bennett. C’erano le finestre della Saint Gobain, senza frames, senza montanti, che scorrevano dentro le pareti”; finestre  talmente grandi che i camion che le trasportavano rimasero incastrati sotto un  ponte romano. E poi i quadri: “Giacometti, Balthus, un Picasso gigantesco. Una casa speciale, con una bella architettura e i dettagli curati perfettamente, a partire dalle prese elettriche, i telefoni, le porte senza maniglie. Tutto molto pulito”. C’era poi il famoso Schifano gigantesco che rappresentava le masse di manifestanti cinesi, 7,5 metri per 3, che era stato ordinato da Gianni e Marella a scatola chiusa ma poi giudicato inammissibile per il soggetto, i cinesi in quel salotto che vuoi o non vuoi era istituzionale, e ogni tre per due ci capitava almeno un Kissinger, dunque fu cambiato in un più rassicurante e classico palmizio.

 

Lì nell’appartamento romano l’Avvocato scendeva ogni dieci giorni da Torino, e riceveva i politici controvoglia e senza stima nelle sue attività di sovrano in visita. Con i famosi pranzetti per le autorità preparati dai vari cuochi, compresi i coglioni di toro (“cosa c’è di meglio che far mangiare dei coglioni a un coglione?” come raccontarono nel documentario Hbo). Per la stanza da letto dell’Avvocato, un copriletto di pelle nera  sotto una tela bruciacchiata e lugubre di Jim Dine. E poi stuoie e modelli delle sue barche e lampade essenziali di Isamu Noguchi.   Chissà che effetto faceva ai visitatori più a digiuno d’arte e di design. Qualche tempo fa nella prestigiosa trasmissione di Monica Setta sulla Rai, Dalila Di Lazzaro, che ebbe un flirt con l’Avvocato, raccontò che, forse visti anche gli arredi, pensò qualcosa come: “Che bell’uomo, peccato sia gay”. Per dire i fraintendimenti dell’arte. A proposito, lì ci stava pure il famoso Balthus con la ragazzina nuda e la tenda – ma saranno poi i quadri veri o le copie di cui si parla tanto nell’ennesimo filone della disfida tra Margherita Agnelli e i parenti? Ah, saperlo. 

 

L’appartamento, come quasi tutti i beni immobili dell’Avvocato, è andato a lei. Ma la vendita anche qui non è così semplice. Non solo il valore bestiale – richiesta, 20 milioni – ma anche qualche strana condizione che, racconta al Foglio un  visitatore, la proprietà ha imposto ai compratori,  una specie di usufrutto per le figlie del secondo matrimonio di Margherita, con il russo de Pahlen, insomma le figlie vorrebbero appoggiarsi all’appartamento quando sono a Roma di passaggio.  Però non è che uno spende 20 milioni e poi si ritrova delle ospiti (seppure contessine russe) incorporate nell’arredamento. Quindi la cosa va a rilento (e noi si pensa sempre all’Imu!).   

 

Altre presenze (meno) ingombranti, e tutte da verificare, raccontano, sono quelle dei fantasmi. Il palazzo infatti dicono sia infestato da spiriti che di tanto in tanto qualche ospite più sensibile degli altri riconosce. Così negli anni ci son stati camerieri, tate e altre manovalanze che se la sono date a gambe levate. Pare che anche Ilaria Rattazzi, figlia di Suni, arrivasse talvolta  negli anni d’oro dotata di acqua benedetta. Suni poi abitava al sesto piano, ultimo,  in affitto, e accanto a lei la mitica Marisela Federici. A un certo punto fecero cambio e Suni prese l’appartamento più grande, con terrazza e una stanza tutta per sé sopra. Ma Suni aveva in dotazione anche un ufficio più in basso dove svolgeva soprattutto la corrispondenza, la famosa posta del cuore su “Oggi”, con le risposte cattivissime ai lettori. Sempre per i più piccini, può apparire bizzarro che la sorella del più grande industriale italiano tenesse una rubrica del genere, ma così era. Le risposte erano notoriamente   perfide. Dal 1983, per un ventennio, alle casalinghe che le confidavano i tradimenti del marito rispondeva cose come “tieniti le corna e non rompere”, ecc. Interessante forse sotto il profilo psicanalitico-sociologico che gli italiani amassero essere capeggiati da Gianni, e poi sgridati da Suni.  

 

Lei era coadiuvata dal fido segretario Antonio Verdolin, un ex prete spretato che la aiutava a redigere la corrispondenza e altre incombenze. Negli stessi uffici poi si organizzavano le campagne elettorali: perché oltre a essere stata la prima donna  sottosegretario e ministro degli Esteri, la sorella di Gianni fu eletta varie volte tra Camera, Senato e Europarlamento a partire dal ‘76. Anno fatale alla dinastia, e pure alla politica italiana. In quell’anno  venne eletta per il Pri e il fratello Umberto per la Dc (con campagna elettorale by Montezemolo). Era andata che tutti tormentavano Gianni per scendere in campo. A un certo punto lui, forse scocciato, disse: io no, ma vi mando i miei fratelli, e così andò. Accanto, c’era l’ufficio di Cesare Romiti, per anni ad della Fiat. Sempre a scendere, al quarto piano c’era il produttore Roberto Haggiag con la moglie Mirella Petteni, già leggendaria modella per Valentino, e mancata quest’estate. Mirella oltre all’appartamentone (anch’esso fatto da Bennett) aveva in dotazione anche un appartamentino al piano rialzato con piccolo giardino e piscinetta, accanto alla caserma dei Carabinieri. 

 

Al terzo piano c’erano invece gli uffici dell’Ifi, la ex Exor, cioè la finanziaria di famiglia degli Agnelli, con Pio Teodorani Fabbri, marito di Maria Sole Agnelli sorella di Gianni, che ne era consigliere, e Umberto invece amministratore delegato. Al secondo piano ci stavano e ancora ci stanno i Carandini proprietari del palazzo. Al primo la casa di Umberto. E poi  Aurelio De Laurentiis, produttore e presidente del Napoli. E infine, ma non ultimo, il leggendario portinaio Ennio. 
Non è un condominio comune, si sarà capito: chi ci abita racconta che ai tempi d’oro , quando si avevano ospiti,  bisognava mostrare il documento alle guardie armate all’ingresso. A volte era proprio impossibile rientrare a casa, per lo spiegamento di forze, come nel caso della cena con Fidel. Si poteva incontrare però  a dicembre l’Avvocato che si trascinava un incongruo albero di Natale, o andare a vedere a scrocco la prima pay tv satellitare di Roma dal giovane  Edoardo, che aveva un suo pied à terre. 

 

L’arrivo di donna Marella invece si preannunciava dall’improvviso e drastico aumento dei riscaldamenti (soffriva il freddo). E da una cameriera filippina, la sua personale, che ostentava superiorità rispetto alle altre, ma anche agli altri inquilini, anche comitali, e vestiva un po’ cercando di imitare la padrona, in pelliccia e gioielli, in casa, e al guinzaglio uno yorskshire. A Natale, oltre all’albero dell’Avvocato, c’erano le serate a casa De Laurentiis con i cofanetti dei cinepanettoni Filmauro in regalo, e Christian De Sica che estraeva i numeri della tombola. Le guardie armate sapevano i fatti di tutti, e poteva capitare di intravedere una giovane Elle Mc Pherson (“The body”) sgattaiolare ai piani alti. Assemblee di condominio non se ne tenevano, in caso foste curiosi, perché si mandavano dei delegati. Oggi pare che nell’appartamento ex di Gianni, in attesa di compratore, resista un vecchio cameriere calabrese, che non apre mai le finestre. Per le spese condominiali bisogna chiedere: è quel che si dice una trattativa riservata, anzi riservatissima.   

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).