Foto:Ansa. 

I mercatini di Lagarde

Lagarde spiega con una buona trovata i guai sui salari in Italia. Prendere appunti

Stefano Cingolani

Dalle bancarelle fiorentine, la presidente della Banca centrale europea è entrata sul tema dei salari meglio della politica. I prezzi dei generi alimentari sono alti, troppo alti: dal 2019 sono saliti del 30,1 per cento. E le retribuzioni reali per dipendente sono inferiori a quelle di sei anni fa

Brava madame Lagarde, ci ha dato una lezione di economia domestica. Elegante come sempre, ma più simpatica e rilassata rispetto a quando appare alle conferenze stampa, la presidente della Banca centrale europea, martedì, ha fatto una incursione nel mercato di Sant’Ambrogio a Firenze dove si riunisce il direttivo della Bce che oggi annuncerà la sua decisione sui tassi d’interesse. Con gran sapienza mediatica, è stata ritratta in giro tra le bancarelle, saggiando frutta e verdura e comprando melagrane delle quale è appassionata, poi al bar mentre sorbisce un cappuccino con brioche e paga con una banconota da 50 euro da lei firmata: questa sono proprio io dice sorridendo al barista che vorrebbe offrirle la colazione.

Infine, con l’autorevolezza di chi la moneta la stampa, ammette che sì, è vero, i prezzi dei generi alimentari sono alti, troppo alti. Sono scesi rispetto a un anno fa, ma troppo poco. Et voilà, c’è voluta Christine Lagarde per dar ragione a chi si lamenta. A cominciare dai lavoratori dipendenti i cui salari sono troppo bassi e dalle famiglie che vedono il carrello della spesa correre in su anziché in giù. L’Italia è il paese che ha subìto una delle peggiori impennate dell’inflazione tra la pandemia e il 2022 quando si è chiuso quasi del tutto il rubinetto del gas russo. Adesso, a giudicare dalle rilevazioni dell’Istat, l’indice dei prezzi al consumo è sceso più che nei vicini dell’Eurolandia, addirittura sotto il magico 2 per cento che rappresenta l’obiettivo di tutte le banche centrali. 


 Eppure la media statistica non dice il vero, perché c’è inflazione e inflazione. C’è quella totale fortemente influenzata dai prezzi dell’energia, c’è quella core che li esclude e non considera nemmeno i prodotti più variabili tipo frutta e verdura, ma poi c’è l’inflazione alimentare con la quale si scontra ogni giorno chi va a fare la spesa, quella che influenza gli umori della gente e l’economia nel suo insieme determinata non solo dalle grandi tendenze mondiali, ma anche e forse ancor più dai comportamenti quotidiani. Tra le diverse inflazioni è la più sensibile da ogni punto di vista, persino politicamente. Le cifre dicono che in media aumenta ancora del 3,7 per cento mentre l’indice generale su base annua a settembre ha toccato l’1,6 per cento e il core era al 2. L’Istat nel suo ultimo rapporto sull’economia italiana ha calcolato che dal 2019 ad oggi i prezzi al consumo dei beni alimentari, che comprendono anche le bevande alcoliche, sono saliti del 30,1 per cento. Il burro ha avuto un’impennata record (60 per cento) poi l’olio d’oliva (53), il riso e il cacao (tutti sopra il 50), il caffè, le patate, lo zucchero, la pasta, il latte, il pesce, insomma tutto meno il vino che ha fatto segnare appena un 2,8 per cento in più. L’Italia non fa eccezione, sia chiaro, la media dell’Unione europea è + 39 per cento, con la Germania al 40 e la Spagna al 38. Un po’ più virtuosa la Francia (+27,5). Dunque Madame Lagarde nella chiacchiera al mercato non metteva sotto accusa solo l’Italia, ma lo stivale sta peggio perché le retribuzioni reali per dipendente sono inferiori a quelle del 2019, sia se consideriamo le contrattuali sia se prendiamo i salari di fatto. 


 Dal 2022 è cominciata una ripresa, tuttavia l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università cattolica calcola che con questo passo ci vorranno ancora un paio d’anni prima di tornare al livello del 2019 che era già molto basso. Nei 30 anni precedenti i salari sono aumentati in Germania del 33 per cento, in Francia del 31,  in Italia sono diminuiti del 2,9. “Dopo il crollo del 2020 dovuto alla pandemia, le retribuzioni di fatto per dipendente in termini reali, ossia al netto dell’inflazione, si erano riprese molto rapidamente, ma sono state successivamente erose dall’inflazione – scrive il rapporto elaborato da Giampaolo Galli, Alessandro Valfrè e Valerio Ferraro – Dal picco raggiunto nel terzo trimestre del 2021 alla fine del 2022, la perdita di potere d’acquisto è stata di quasi il 9 per cento. Successivamente si è avuta una ripresa graduale, ma costante, che ha consentito di aumentare le retribuzioni del 5,4 per cento (ultimo dato relativo al secondo trimestre del 2025)”. Se facessimo lo stesso calcolo in base all’inflazione alimentare, l’erosione sarebbe maggiore e colpirebbe di più i redditi bassi. Christine Lagarde dalle bancarelle fiorentine è entrata (senza volerlo?) nella questione salariale così difficile da sbrogliare visto che nessuno, a cominciare dai sindacati, ha soluzioni praticabili nell’immediato e non c’è la volontà politica di dar vita a un “patto sociale” che inverta la tendenza usando tutti gli strumenti disponibili, dalla contrattazione alle imposte. Del resto, con una crescita del pil vicina allo zero non c’è molto da distribuire. Speriamo che la Bce anche oggi ci dia una mano. 
 

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