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L'analisi
Tergicristalli e deregulation, come può nascere una crisi finanziaria
"Le radici della maggior parte delle crisi finanziarie risiedono nei periodi di boom economico e nelle condizioni monetarie favorevoli che li precedono" ha detto il Financial Times qualche giorno fa. Ecco perchè Il caso di First Brands è estremo ma paradigmatico
Cosa c’entra una fabbrica di tergicristalli e filtri dell’aria in bancarotta con la politica monetaria globale? Parecchio, a giudicare dalle notizie che arrivano da oltre Atlantico. Con risvolti che riguardano tante altre cose: le traballanti regole del credito, la febbre delle criptovalute, l’amministrazione Trump e le sue idee su come regolare (o meglio, sregolare) la finanza. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capirci qualcosa.
La Grande Crisi Finanziaria, durata due anni (2008-09) negli Usa e proseguita in Europa per altri tre, ha avuto conseguenze che si trascinano ancora oggi. La prima è una regolamentazione delle banche più restrittiva, che le ha rese più stabili ma ha anche spostato flussi di credito verso settori opachi e poco regolati. La seconda è un’espansione delle politiche monetarie straordinaria, durata fino al 2023, che ha inondato di liquidità la finanza globale contribuendo a un’espansione del credito dentro e fuori delle banche anch’essa straordinaria. Per non parlare delle criptovalute, anch’esse beneficiarie degli eccessi di liquidità. Deregolamentazione, espansione monetaria, debito: tutti gli ingredienti dell’instabilità finanziaria. Come ha scritto giorni fa sul Financial Times Raghuram Rajan, ex capo economista del Fmi e fra i maggioni esperti della materia: “Le radici della maggior parte delle crisi finanziarie risiedono nei periodi di boom economico e nelle condizioni monetarie favorevoli che li precedono”.
Ma andiamo un passo alla volta. Nel 2023 la Fed si accorge improvvisamente che arriva l’inflazione e arresta l’espansione monetaria, ulteriormente allargata nei due anni precedenti a causa della pandemia. Banche Usa medio piccole che avevano investito l’enorme afflusso di depositi, in larga parte non assicurati, in titoli di stato improvvisamente subiscono perdite. I depositi fuggono. Alcune falliscono, altre vengono salvate in extremis. E’ la prima crisi delle banche regionali, che fa tremare la finanza Usa e per breve tempo anche quella globale.
Mentre tutto questo avveniva, gran parte dell’intermediazione del risparmio passava ai cosiddetti circuiti privati: azionari (private equity) e di debito (private debt). Pressoché inesistenti all’inizio del millennio, questi due mercati sono oggi stimati a 10.000 e 2.000 miliardi di dollari rispettivamente. Trattasi di stime, soprattutto per il primo, non essendo quotato in borsa. Il credito privato – imprese o intermediari non bancari che si sostituiscono alle banche, prestando ad altre imprese – in particolare è il settore cresciuto di più in anni recentissimi, in virtuale assenza di controlli e informazioni statistiche.
Il caso di First Brands è estremo ma paradigmatico. Fondato nel 2013 da un fantomatico imprenditore di origine malese (rifiuta le interviste e a malapena si trovano sue immagini nel web), che aveva iniziato il suo percorso anni prima vendendo tergicristalli, First Brands nell’ultimo decennio cresce a dismisura a debito comprando decine di imprese nel settore delle componenti d’auto – la figura rende l’idea.
Il modello di business è comune a tante altre, ma portato all’eccesso: vendere a sconto fatture (factoring) non ancora incassate, spesso emesse da soggetti finanziariamente deboli, a fondi di investimento o altri investitori: non si sa esattamente quali perchè mancano i dati. Quando le fatture vanno in mora, il meccanismo salta. Come se non bastasse, sembra che le stesse fatture fossero postate a garanzia su prestiti multipli. Alla fine l’esposizione si scarica sulle banche: diverse banche regionali Usa sono entrate in crisi nelle ultime settimane. Mancano le informazioni per capire l’entità dei rischi e dove essi esattamente risiedano. E’ la seconda crisi bancaria del decennio? Mentre si sciolgono i dubbi, il segretario al Tesoro americano Scott Bessent sostiene la necessità di innalzare il limite dell’assicurazione federale sui depositi bancari – giace al Congresso un’iniziativa bipartisan che la alzerebbe da 250 mila dollari alla strabiliante cifra di 10 milioni.
Per ora di certo ci sono solo tre lezioni. La prima è quella di Rajan: le espansioni monetarie nelle fasi di espansione economica creano rischi finanziari che la sola vigilanza bancaria (compresa la sua versione moderna, la politica macroprudenziale) non è in grado di controllare. La seconda è che è urgente raccogliere informazioni regolari sul settore bancario “ombra”, quello dei soggetti non bancari (e spesso non finanziari) che fanno il mestiere di banche senza esserne regolate a dovere. La terza lezione riguarda la deregolamentazione, tendenza in voga nella nuova amministrazione Usa ma anche in Europa. Attenzione: può sembrare che essa riduca oneri e costi dello stato, ma se incauta alla fine finisce per aumentarli. Prevenire le crisi, magari con un qualche cautela in più, è meglio che curarle dopo che esse sono avvenute.
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