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L'analisi
La propaganda di Landini sul fiscal drag smentita dallo studio della Bce
La Banca Centrale Europea smonta le balle della Cgil sul drenaggio fiscale. Non è vero che sono stati sottratti 25 miliardi ai lavoratori: sono stati restituiti più che integralmente attraverso interventi sull'Irpef e decontribuzione, soprattutto a favore dei redditi sotto i 35 mila euro
Si dice che i numeri hanno la testa dura, ma non quanto la propaganda della Cgil. Maurizio Landini, ancora ieri in tv e certamente dal palco della manifestazione sindacale di sabato, continua a sostenere che dal 2022 al 2024 il governo ha sottratto ai lavoratori e ai pensionati circa 25 miliardi attraverso il fiscal drag e che, pertanto, queste risorse vanno “restituite” soprattutto ai redditi medio-bassi che hanno pagato maggiormente questa extratassa.
Nei mesi scorsi abbiamo segnalato più volte che si tratta di due affermazioni false, contraddette dalle analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) e dell’Inps. Ora arriva uno studio della Banca centrale europea a smentire il refrain landiniano: “Il fiscal drag in Italia è stato più che pienamente compensato – riporta l’analisi della Bce – principalmente grazie alle ingenti risorse destinate agli interventi sui contributi previdenziali (la decontribuzione, ndr)”.
Il fiscal drag, o drenaggio fiscale, è quel meccanismo che in presenza di inflazione e di un sistema tributario con aliquote progressive fa aumentare il prelievo fiscale in assenza di un aumento dei redditi reali: quanto più intenso è l’aumento dei prezzi tanto più aumenta la quota di reddito che lo stato subdolamente sottrae ai contribuenti. Siccome dopo il Covid l’Europa è stata attraversata da una fiammata inflazionistica, la Bce si è posta il problema di capire cos’è successo. Così nel working paper dal titolo “Fiscal drag in theory and in practice: a European perspective”, che ha coinvolto pressoché tutte le banche centrali nazionali, l’istituto di Francoforte ha fatto un’analisi comparata su come una ventina di paesi europei hanno affrontato il fenomeno tra il 2019 e il 2023: quanto è stato grande il fiscal drag, se e come è stato attenuato o restituito ai contribuenti.
Lo studio si concentra ovviamente sull’imposta personale sui redditi, la nostra Irpef, perché è generalmente il pilastro più importante dei sistemi fiscali e quello più soggetto al drenaggio fiscale per via delle più forte progressività (per effetto sia delle detrazioni sia delle aliquote crescenti). Per capire cos’è successo gli economisti hanno prima calcolato il “fiscal drag potenziale”: ovvero l’incremento delle entrate spinto dall’inflazione senza alcuna correzione al sistema fiscale (nessuna indicizzazione degli scaglioni e delle detrazioni né alcun taglio alle aliquote). In questo caso emerge che il fiscal drag potenziale nel caso dell’Italia è circa 18,5 miliardi di euro. Gli studiosi poi calcolano il “fiscal drag effettivo”, cioè quello che si è verificato realmente considerando che nel frattempo i governi hanno di fatto preso alcune misure per ridurne l’impatto (indicizzazione degli scaglioni, riduzione delle aliquote, interventi sulle detrazioni, etc.). In questo modo, l’impatto del fiscal drag per quanto riguarda l’Irpef si riduce a 11,5 miliardi, una somma che è comunque la più alta d’Europa.
Ma è ancora una fotografia incompleta, perché esclude i contributi sociali su cui il governo Meloni (e prima, in misura inferiore, il governo Draghi) è intervenuto più incisivamente (taglio dei contributi di 6 punti fino a 35 mila euro). Ebbene, considerando sia gli interventi sull’Irpef sia la decontribuzione, scrive il report della Bce, il governo ha restituito più di quanto ha preso attraverso il fiscal drag beneficiando in particolar modo i lavoratori dipendenti. Mediamente, dice la Bce, il governo ha preso un euro di fiscal drag e ne ha restituiti 1,4.
Ciò, però, non vuol dire che nessuno ci ha perso. La media è un dato che spesso può ingannare. Perché, in realtà, la redistribuzione operata dal governo Meloni ha prodotto vincitori e vinti. I vincitori sono i redditi medio-bassi, quelli sotto i 35 mila euro, beneficiari della riduzione strutturale del cuneo fiscale ora entrato nel 2025 nella riforma Irpef (abbandonando la via della decontribuzione). Tra i vinti, invece, ci sono i redditi medio-alti, quelli sopra i 35 mila euro che hanno pagato tutto il fiscal drag e subito anche tagli su diverse detrazioni. In sostanza, l’Irpef è diventata più progressiva di prima.
Questa analisi, peraltro, è parziale perché per poter fare un confronto internazionale si focalizza sull’imposta sui redditi personali, escludendo il lato della spesa sociale. Su questo fronte, tra il 2019 e il 2023, in Italia ci sono state diverse innovazioni, una su tutte l’introduzione dell’Assegno unico per i figli che ha sostituito le precedenti detrazioni aumentando le risorse disponibili di circa 6 miliardi. Ciò vuol dire che l’impatto complessivo, a favore dei redditi bassi, può essere superiore. Il problema del potere d’acquisto dei lavoratori, soprattutto quelli a medio-basso reddito, non arriva quindi dal fiscal drag ma dalla stagnazione dei salari lordi. Forse è su questo, su cui peraltro i sindacati hanno maggiore responsabilità e capacità di incidere, che La Cgil dovrebbe concentrare gli sforzi e le (auto)critiche.
P. s.: qual è il paese europeo dove, secondo la Bce, il fiscal drag è stato più forte? La Spagna di Pedro Sánchez e Yolanda Díaz (10,5 miliardi di drenaggio fiscale), proprio il governo che il campo largo e la Cgil celebrano come modello a favore dei lavoratori.