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Legge di bilancio

La tassa in più sui dividendi da partecipazioni può allontanare molti investimenti dall'Italia

Andrea Tavecchio

Sono ormai centinaia i Family Office che sono dedicati a gestire i patrimoni di famiglia. Ma una normativa inserita nella legge di Bilancio in discussione in questi giorni rischia di minare la stabilità del quadro normativo per queste società

Negli ultimi dieci anni si sente sempre più spesso parlare, anche in Italia, di Family Office, cioè di strutture che si occupano della longevità dei patrimoni delle famiglie, anche organizzando gli investimenti delle famiglie stesse in modo razionale e moderno. Per dare una dimensione economica del fenomeno basta pensare che secondo una ricerca recente (POLIMI-Pictet) solo di “liquidity events” (cioè da cessioni di aziende) negli ultimi dieci anni in Italia si sono generati circa 300 miliardi di euro di liquidità. E questo numero è destinato a salire perché circa il 67% delle circa 22 mila aziende italiane ha una proprietà familiare e di queste circa il 25% ha una leadership che ha più di 70 anni (fonte Università Bocconi). E le famiglie sempre più spesso, sia perché attratte dagli alti prezzi che il private equity offre sia per la complessità di tenere unite famiglie numerose e complesse, decidono di vendere.

 

Sono ormai centinaia le società di famiglia che sono dedicate a gestire i patrimoni di famiglia e la forma societaria che viene usata nel 70% dei casi (Fonte Osservatorio Family Office POLIMI) è quella delle società a responsabilità limitata. I motivi della scelta delle società a responsabilità limitata sono legati, oltre che a ragioni storiche, alla grande flessibilità delle regole di governance che garantiscono ed anche dalla stabilità della normativa fiscale che durava da oltre un ventennio. Una normativa inserita nella legge di Bilancio in discussione in questi giorni rischia di minare la stabilità del quadro normativo per i Family Office e di essere un forte disincentivo agli investimenti in società italiane. Senza entrare troppo in tecnicismi fiscali, la norma in discussione (articolo 18 della legge di bilancio) cambia la regola che stabiliva, per evitare una doppia tassazione sullo stesso reddito, la tassazione all’1,2% di tutti i dividendi ricevuti da una holding. Con la proposta in discussione invece per le partecipazioni in società di cui si detiene meno del 10%, i dividendi saranno tassati al 24%. A questo bisogna aggiungere il 26% con cui sono tassati i soci persona fisica che ricevono un dividendo. Alla fine sullo stesso reddito di 100, prodotto dalla società operativa, si avrebbe un fiscale complessivo di circa il 60%.

 

Tutto questo, che appare eccessivo anche solo avendo come guida il buon senso, deve convivere con il forte rischio che essendo tassato più volte lo stesso reddito la norma possa essere dichiarata incostituzionale, non portando quindi nel concreto alcun gettito. C’è poi un altro aspetto che chi si occupa di investimenti non farà fatica a vedere. Oggi, per l’effetto dell’utilizzo parziale del credito di imposta per le ritenute estere sui dividendi, la tassazione di dividendi di fonte italiana era più bassa, circa mediamente poco meno del 15% rispetto ai dividendi di fonte estera. Un bel vantaggio competitivo. Con la norma ipotizzata oggi tutti i dividendi sia di fonte estera che italiana saranno tassati al 24%. Dove credete che si indirizzeranno maggiormente gli investimenti dei Family Office italiani? Chi scrive, che si occupa professionalmente di famiglie e family office, qualche sospetto lo ha.

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