
Ansa
Denatalità
Con il crollo della natalità, si deve guardare anche alla Dink family
Tra poco meno di 20 anni in Italia, ci saranno un milione di famiglie in più e, di queste, più di una su cinque sarà "Dual Income No Kids", coppie con doppio reddito che scelgono di non avere figli. Ma la generatività non è sinonimo soltanto di procreazione: include anche dimensioni individuali e collettive
La denatalità sta diventando una dimensione costitutiva del tessuto sociale del nostro paese. Secondo l’ultimo rapporto Istat la fecondità media ha toccato 1,18 figli per donna e, nei primi sette mesi del 2025, il numero dei nati è diminuito del 6,3 per cento rispetto all’anno precedente. Strettamente correlato a questa emergenza è il modello indicato con l’acronimo Dink (Dual Income No Kids), ossia quelle coppie sposate o conviventi, con doppio reddito che scelgono di non avere figli. Secondo le previsioni pubblicate nel 2024 sempre dall’Istituto nazionale di statistica sul futuro demografico, tra poco meno di 20 anni in Italia, ci saranno un milione di famiglie in più e, di queste, più di una su cinque sarà senza figli. La questione Dink emerge negli anni Sessanta del secolo scorso con il boom economico, per poi consolidarsi due decenni dopo. Negli anni Ottanta, grazie anche alla logica edonistica e alla subcultura Yuppie, si rafforzano le aspettative di autorealizzazione degli adulti, che finiscono per condizionare anche la scelta di avere figli.
La loro crescita, infatti, diventa sempre più onerosa dal punto di vista economico, tanto da introdurre l’opzione di non averne. A questo si aggiunge l’ingresso tardivo nel mondo del lavoro, soprattutto da parte delle donne. A poco sono valse le politiche governative volte a incentivare le nascite: la loro scarsa efficacia ha mostrato come l’essere Dink sia, prima di tutto, uno stile di vita e una strategia economica. Spendere denaro per cenare fuori, viaggiare o fare sport è più vantaggioso rispetto a crescere un figlio. Secondo uno studio dell’Osservatorio nazionale Federconsumatori, per mantenere un bambino nei primi dodici mesi di vita in Italia, nel 2024, sono necessari tra i 7.000 e 17 mila euro, mentre il costo medio fino alla maggiore età supera i 175 mila. Tuttavia, rinunciare a diventare padri e madri presenta anche aspetti economicamente sconvenienti come la mancanza di sistemi di supporto nella vecchiaia o la difficoltà di pianificare il patrimonio in assenza di eredi. Oltre a questi motivi pratici, un altro rischio fa riferimento alle narrazioni e alle rappresentazioni simboliche che tendono sempre più a svincolare la famiglia dalla sua essenza originaria: essere un’entità generativa. Ma la generatività non è sinonimo soltanto di procreazione: include dimensioni individuali e collettive come la maturità, la responsabilità, l’esperienza, la trasmissione di conoscenze e la testimonianza. Un modo di essere che i Dinks possono comunque incarnare, nonostante spesso siano rappresentati (perlopiù nelle produzioni digitali di creator e influencer) come soggetti dediti esclusivamente alla cura del corpo, ai viaggi esotici o a una routine fatta di conflitti, ironia e confusione dei ruoli.
Questa semplificazione finisce per investire anche le coppie con figli, ritratte sui social come insofferenti, impossibilitate a coltivare le proprie passioni, oppure impedite nell’intimità o nel dormire notturno. Tutto questo ha certamente un margine di verità: i Dinks hanno libertà maggiori rispetto ai meccanismi di sottrazione e privazione (affettiva, economica, di mobilità) che i genitori in alcuni momenti vivono. Ma questa indipendenza non li deresponsabilizza di fronte alla certezza – non solo formale – di essere comunque una famiglia, ossia – come spiega il sociologo Pierpaolo Donati – “un bene relazionale primario della società da cui scaturiscono le qualità umane e spirituali della vita di ogni individuo”. Per questo motivo, la sfida oggi non è soltanto sostenere le coppie che desiderano avere figli con incentivi monetari, ma aiutarle a sviluppare il loro potenziale generativo anche al di là della riproduzione biologica. Perché generatività significa superare il confine dei bisogni personali ed entrare in una dinamica di tutela, cura dell’altro e alleanza sociale, affinché le generazioni future possano costruire un’umanità sostenibile e, a sua volta, generativa. Lo si fa facendo figli, ma anche – come le coppie Dink – scegliendo di non averne, purché non si ripieghino su se stesse, comprendendo che l’essenza di ogni relazione è sempre la vita stessa.
Lo si fa sostenendo in tutti i modi le nascite, ma anche riconoscendo che la dink family (ce lo dicono i numeri) sarà un attore collettivo capace di rimodellare (lo sta già facendo) istituzioni, economie e futuro e potrà contribuire – se studiato e accompagnato senza pregiudizi – al compito universale di edificare una società orientata al bene comune. Una società nella quale, si spera, mettere al mondo dei figli continuerà a rappresentare la scelta primaria di due persone che si amano.
Massimiliano Padula sociologo, Università Lateranense
