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Il dato vero

Landini dà i numeri sul fiscal drag

Luciano Capone

Dopo aver chiamato "cortigiana" la premier Meloni, il segretario della Cgil torna nella sua zona di comfort: sparare cifre su lavoro e fisco

 La lezione per Maurizio Landini, e tutta la classe dirigente italiana, è che nel dibattito pubblico puoi anche diffondere in continuazione dati sballati ma non puoi permetterti di usare termini ambigui. Insomma, devi stare ben attento alle parole, ma sui numeri puoi fare come ti pare. Dopo essere stato redarguito trasversalmente per l’uso errato del termine “cortigiana” riferito alla premier, offensivo oltre le sue intenzioni (intendeva dire servile nei confronti di Trump e non certo prostituta), ora  il segretario della Cgil è tornato nella sua comfort zone: sparare cifre su lavoro e fisco. Nel paese in cui il dizionario conta molto più della calcolatrice, non c’è nessuno a criticarlo. 


Se è molto probabile trovare un interlocutore che immediatamente ti corregge dicendo “occhio, che questo termine è un po’ sessista”, è praticamente impossibile beccarne uno che alla centesima volta ti dica “attenzione, che queste cifre non sono vere”. La Cgil ha convocato per il 25 ottobre una manifestazione di protesta contro il governo. Al centro delle rivendicazioni ci sono la questione fiscale e quella salariale. Il sindacato, attraverso il suo segretario generale in pellegrinaggio televisivo, dice che “il governo deve mille euro a ogni lavoratore” a causa del fiscal drag: “Con il drenaggio fiscale, lavoratori e pensionati hanno pagato oltre 24 miliardi di tasse in più tra il 2022 e il 2024”. Pertanto, sostiene la Cgil, sono “risorse sottratte a redditi medio-bassi, che non sono state reinvestite in servizi pubblici ma utilizzate per il risanamento dei conti e l’aumento delle spese militari. Sono i nostri soldi, noi li vogliamo indietro”. E’ una ricostruzione completamente falsa di ciò che è accaduto negli ultimi anni. 


Di vero c’è che esiste il “fiscal drag”, ovvero quel meccanismo che in presenza di inflazione e aliquote progressive fa aumentare il prelievo fiscale:  quanto più è forte l’aumento dei prezzi e quanto più è progressivo il sistema fiscale, tanto più aumenta la quota di reddito che lo stato sottrae ai contribuenti. E di vero c’è anche che, a causa della forte inflazione tra il 2021 e il 2023, il drenaggio fiscale ha garantito al Tesoro un maggiore gettito strutturale di circa 25 miliardi di euro. Tutto il resto non è semplicemente falso, ma è il contrario della realtà. Non è infatti vero che queste sono “risorse sottratte a redditi medio-bassi”, perché è accaduto l’esatto opposto.


 Dalla prima legge di Bilancio nel 2022, e soprattutto dal decreto Lavoro del Primo maggio 2023, il governo Meloni ha infatti redistribuito buona parte di questo extragettito a favore dei redditi medio-bassi. Circa 18 miliardi (sui 25 di fiscal drag) sono stati impiegati strutturalmente per fare una riforma fiscale (la decontribuzione di 6-7 punti, poi trasformata in un bonus più detrazione, oltre all’accorpamento di un’aliquota Irpef) che è andata a favore dei redditi inferiori a 35 mila euro annui. Questa riforma ha reso l’Irpef più progressiva e ne ha aumentato la capacità redistributiva.


  E questo è confermato dalle analisi indipendenti dell’Upb e dell’Inps. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, infatti, la decontribuzione ha “più che compensato il drenaggio fiscale nell’area di applicazione dello sconto contributivo”, ovvero fino a 35 mila euro, mentre “nell’area in cui la decontribuzione non si applica”, ovvero sopra i 35 mila euro, “gli effetti del drenaggio fiscale risulterebbero più rilevanti dei benefici derivanti dalla riforma Irpef”. In sostanza, attraverso il fiscal drag il governo di centrodestra ha aumentato le tasse ai più ricchi e le ha ridotte ai più poveri. L’Inps invece, nel suo ultimo rapporto annuale, fa di più: mostra come i salari netti, a causa degli interventi fiscali,  siano cresciuti molto di più dei salari lordi. “La distanza che si registra tra la dinamica delle retribuzioni lorde e la dinamica delle retribuzioni nette riflette l’impatto differenziato degli interventi fiscali a sostegno dei salari in funzione del loro livello – scrive l’Inps.  Tale distanza risulta massima in corrispondenza della mediana (7,4 per cento vs 16,9 per cento): oltre metà della crescita del salario netto è quindi attribuibile agli interventi fiscali (non dipende dal salario lordo)”. Questo effetto, dice sempre l’Inps, è all’incirca della stessa intensità per i redditi più bassi: le retribuzioni nette sono cresciute il doppio di quelle lorde, più che compensando l’effetto negativo del fiscal drag.


A pagare sono stati i redditi medio-alti, il contrario di ciò che dice la Cgil. Questo è ciò che dicono i numeri. Nelle tante interviste in cui landini diffonde liberamente falsità qualcuno, mettendo da parte la cortigianeria, dovrebbe ricordarglielo.    
 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali