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Legge di Bilancio

In manovra più risorse sulle pensioni che per le imprese. Ma Confindustria ringrazia senza aver fatto bene i conti

Luciano Capone

"Le nostre richieste, da come sembra, sono state ascoltate”, dice il presidente Orsini. Ma i numeri del Documento programmatico di bilancio non sembrano giustificare tutto questo entusiasmo: il governo stanzia lo 0,31 per cento del pil nel triennio. Il totale è di 7,3 miliardi, meno degli 8 miliardi citati dalla premier

Roma. La posizione della Confindustria rispetto alla legge di Bilancio è stata doppiamente sorprendente. Prima quando il presidente degli industriali, Emanuele Orsini, ha criticato in maniera dura il governo mentre era in corso il Consiglio dei ministri: “Serve coraggio, ma nella prima bozza del Def, per quello che si è visto finora, non l’abbiamo visto”. E poi quando, dopo l’approvazione del ddl Bilancio da parte del governo, sono arrivati gli elogi: “Nell’ultimo anno abbiamo interloquito con il governo su questa legge di Bilancio, abbiamo dialogato e le nostre richieste, da come sembra, sono state ascoltate”, ha detto Orsini. 


Ma i numeri del Documento programmatico di bilancio non sembrano giustificare tutto questo entusiasmo. La Confindustria aveva chiesto al governo un Piano straordinario di investimenti da 24 miliardi di euro in tre anni (8 miliardi annui), Giorgia Meloni dice che nella manovra per le imprese ci sono 8 miliardi in tre anni.  In realtà il saldo è   di un solo miliardo nel triennio.


Il presidente di Confindustria, dopo la conferenza stampa, ha ripreso le parole della premier sullo stanziamento di 8 miliardi per le imprese e 2,3 miliardi per la Zes, che facevano presumere oltre 10 miliardi (su  18 totali) a favore delle aziende. Ma così non è. Perché i 2,3 miliardi per la Zes sono inclusi negli 8 miliardi per le imprese che, a loro volta, sono spalmati su un arco triennale dal 2026 al 2028. Ma questo è solo un quadro parziale della manovra, che con una mano dà e con l’altra toglie. Tra le coperture della legge di Bilancio, infatti, la voce principale è quella della rimodulazione del Pnrr che, di fatto, è un taglio degli investimenti quasi pari alle nuove misure a favore delle imprese.


Il quadro è delineato chiaramente nello schema del Documento programmatico di bilancio (Dpb) che indica l’impatto delle misure. Tra gli impieghi, ovvero tra le maggiori spese o minori entrate, alla voce “Sostegno alle imprese e all’innovazione” il governo stanzia lo 0,13 per cento del pil nel 2026 (3 miliardi), lo 0,10 nel 2027 (2,4 miliardi) e lo 0,08 nel 2023 (1,9 miliardi). Totale: 0,31 per cento del pil (7,3 miliardi, meno degli 8 miliardi citati dalla premier in conferenza stampa). Tra le risorse, ovvero tra le coperture della manovra, alla voce “Rimodulazione spese Pnrr” il governo stima lo 0,22 per cento del pil nel 2023 (5,1 miliardi), lo 0,03 nel 2027 (0,7 miliardi) e lo 0,02 nel 2028 (0,5 miliardi). Totale: 6,3 miliardi. Vuol dire che il saldo per le imprese è positivo di un miliardo sul triennio, ma negativo per l’anno prossimo di 2 miliardi di euro. Insomma, se non venisse approvata la legge di Bilancio proposta dal governo e restasse in vigore la legislazione vigente, nel 2026 per le imprese ci sarebbero 2 miliardi in più di investimenti. Quali sono questi tagli?


E’ davvero difficile dirlo, perché sulla cosiddetta “rimodulazione del Pnrr” c’è oscurità totale. Quello che si riesce a capire è che dovrebbe trattarsi di una riallocazione di fondi pari a 14,15 miliardi che dovrebbe riguardare 34 misure in cui sono state riscontrate criticità e ritardi. La proposta di revisione del governo, che prevede di preservare l’intera dotazione del Pnrr pari a 194,4 miliardi di euro, prevede il potenziamento, l’inserimento o il rafforzamento di altre misure  volte a sostenere la competitività, come ad esempio Transizione 4.0. Al contrario, verranno fortemente ridimensionate le misure che non stanno funzionando come, ad esempio, Transizione 5.0 per cui è previsto nel Pnrr uno stanziamento da 6,3 miliardi e, se tutto va bene, alla scadenza di fine 2025 saranno spesi solo 3 miliardi.
 
Ma il saldo di questa riallocazione di fondi non è pari a zero. Se a copertura della manovra mette come voce principale la “rimodulazione del Pnrr” vuol dire che, alla fine, la spesa per investimenti sarà inferiore al previsto. Molto probabilmente nella proposta di modifica  del governo inviata a Bruxelles c’è la richiesta di far ricomprendere nel Pnrr spese già realizzate negli anni precedenti e finanziate con  risorse nazionali. Da questo cambio di poste, vengono così liberati margini nel bilancio nazionale dei prossimi anni per misure richieste da Confindustria come la riedizione di Transizione 4.0 (con il ritorno dell’iper ammortamento) al posto della disastrosa Transizione 5.0 lanciata dal ministro delle Imprese Adolfo Urso. 


Sul disegno della misura sì che il governo ha dato finalmente ascolto alle lamentele degli industriali. Ma sullo stanziamento delle risorse non è affatto così: attraverso il gioco delle tre carte tra rimodulazione del Pnrr e fondi nazionali, per ora Meloni e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sono riusciti a togliere due miliardi di investimenti nel 2026  senza che Confindustria se ne sia pienamente resa conto. In questa legge di Bilancio ci sono più risorse per le pensioni che per le imprese, ma i pensionandi protestano e gli industriali applaudono. 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali