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L'intervento

Quando l'impresa diventa cultura

Antonio Calabrò

Dalla lezione di Gio Ponti alle Settimane della cultura d’impresa: l’Italia riscopre il legame virtuoso tra industria e creatività. Non più solo mecenatismo, ma produzione di cultura “politecnica”, capace di unire umanesimo e scienza

"In Italia l’arte si è innamorata dell’industria. Ecco perché l’industria è un fatto culturale”. La sintesi di Gio Ponti, uno dei padri dell’architettura e del design italiano del Novecento (suoi, tra l’altro, i progetti del Grattacielo Pirelli, del palazzo dell’Assolombarda e del “Trifoglio” del Politecnico a Milano, oltre che di una miriade di oggetti d’arredamento del “bello e ben fatto”) racconta bene il senso d’una stagione virtuosa che va dagli anni Cinquanta ai primi Settanta e in cui le relazioni tra il mondo imprenditoriale e quello della cultura stimolavano una creatività originale che investiva produzione, consumi, stili di vita e canoni di rappresentazione di una complessa e vivace modernità. Le pubblicazioni aziendali dell’epoca (la Rivista “Pirelli”, “Civiltà delle macchine” della Finmeccanica/ Iri, “Comunità” della Olivetti e “Il Gatto Selvatico” dell’Eni) offrono brillanti testimonianze di una “cultura politecnica” che sa tenere insieme saperi umanistici e conoscenze scientifiche, grazie anche al contribuito di intellettuali di peso come Elio Vittorini, Norberto Bobbio, Carlo Bo, Franco Ferrarotti, Giulio Carlo Argan, Leonardo Sinisgalli, Vittorio Sereni, Giuseppe Luraghi, Eugenio Montale, Ottiero Ottieri, Attilio Bertolucci e tanti altri ancora: il meglio della grande cultura italiana.

 

Quelle relazioni s’interrompono negli anni Settanta e Ottanta dei duri conflitti sindacali e sociali. E per lungo tempo si fatica a riprenderle. E oggi? Dario Di Vico, recensendo su “Il Foglio” (30 settembre) l’interessante libro di Marco Ferrante sulla storia di “Civiltà delle macchine”, ricorda quella stagione virtuosa e i suoi protagonisti (Olivetti, Pirelli, Feltrinelli, etc.) e poi nota l’assenza di un impegno convinto e continuativo degli imprenditori negli investimenti culturali (anche se è ingeneroso parlare di “vuoto”). Ma adesso, carenze e silenzi recenti a parte, vale la pena dare conto di una tendenza al confronto che, proprio nel mondo imprenditoriale, va crescendo intensamente.

 

L’esperienza delle “Settimane della cultura d’impresa” (oramai alla XXIII edizione), organizzate da Confindustria e Museimpresa, vedono in calendario, ogni anno, un gran numero di iniziative (oltre cento) per aprire al pubblico stabilimenti e uffici e fare vivere mostre, dibattiti, pubblicazioni. Il tema, quest’anno, è “Raccontare l’intraprendenza - Per fare crescere le imprese aperte e connesse”, coinvolgendo anche il mondo dei social media (“Mani che pensano: Intelligenza Artificiale, arte e cultura per il rilancio dell’impresa” era il tema del 2024). Una strategia, appunto, culturale. L’idea di fondo: valorizzare il “saper fare” del made in Italy e affiancargli un impegno crescente per “far sapere”. Produrre e raccontare. E fare capire che l’impresa, straordinario ascensore sociale, è un luogo aperto alle nuove generazioni per realizzare i loro progetti di lavoro e di vita.  

 

La strada è già percorsa, da qualche tempo, non solo dalle grandi ma anche da parecchie piccole e medie aziende: due festival del cinema d’impresa (a Roma e a Bergamo), alcuni premi per la letteratura industriale e per valorizzare l’“heritage” storico e culturale, rappresentazioni teatrali (a Milano, in collaborazione con il Piccolo Teatro e il Teatro Parenti) e una lunga serie di altre iniziative, aperte all’ascolto e alla collaborazione di tutti i media, per dare voce polifonica a una caratteristica di fondo: l’impresa non è solo un attore economico che crea prodotti, lavoro, innovazione, ma anche un attore sociale e culturale, nelle relazioni positive con tutti glistakeholders.

 

Investire sulla cultura, non solo da “mecenate” ma soprattutto da “produttore di cultura politecnica”, tra umanesimo e scienza, è la strada su cui continuare il cammino. La conferma? I dodici premi a imprese italiane tra i venti “Compasso d’oro” internazionali per il design, consegnati ai primi di settembre a Osaka: progetti e prodotti di design, sintesi di bellezza e tecnologia. Arte e industria, appunto. La lezione di Gio Ponti è ancora d’attualità.

 

Antonio Calabrò presidente del Gruppo Tecnico Cultura di Confindustria e di Museimpresa

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