
oltre la manovra
Lavoro femminile, redditi e intensità della povertà. Ci sono anche buone notizie sull'Italia
Tra richieste di manovre “poderose” e nostalgie di spesa facile, pochi ricordano che la vera partita economica si è chiusa nel Piano 2025-2029: ora si tratta solo di restare nel binario della prudenza. Il Dpfp e l’illusione della flessibilità: la disciplina è già scritta
Superato il vaglio parlamentare, il Documento programmatico di finanza pubblica si appresta a fare da sfondo alla Legge di bilancio e al suo esame da parte della Commissione europea. Il contesto è quello della nuova governance economica europea ma la cosa sembra essere sfuggita a quasi tutti nel senso che pochi, molto pochi, hanno ricordato che la vera discussione sulle scelte di politica economica è quella che abbiamo fatto sul finire dell’estate 2024 al momento della definizione del Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029. Pochi, molto pochi, sembrano aver capito che, a questo punto, quel che di anno in anno stiamo facendo e faremo è semplicemente accertarci di rimanere all’interno di un percorso già definito e condiviso che prevede, nel medio periodo, un ritorno ad avanzi primari significativi e una tendenziale riduzione del rapporto fra debito e prodotto nel quadro di una politica di bilancio orientata alla disciplina e alla prudenza. È veramente difficile non sorridere pensando ai tanti che, lancia in resta, si erano battuti in nome della flessibilità per cambiare la governance economica europea.
Ma è ancora più difficile non rimanere stupefatti di fronte ad alcuni dei commenti che si sono succeduti in questi ultimi giorni. C’è chi – nonostante ci si appresti a fare nuovo debito per tre punti di prodotto interno lordo – sostiene che si tratterebbe di scelte “austere e senz’anima”, lasciando intendere che la spensieratezza e l’anima si manifestano solo oltre il tre per cento. E c’è poi chi, senza mezzi termini (e senza riflettere), chiede addirittura una “manovra poderosa” come se, dall’avvento dell’euro ad oggi, non avessimo solo sperimentato disavanzi consentiti da una riscrittura dell’art. 81 della Costituzione a dir poco risibile (non si sa se per dabbenaggine o malafede, ma propendiamo per la prima spiegazione). Come se non stessimo ancora spesando il “più costoso sussidio della storia della Repubblica, il più generoso credito d’imposta del mondo”, per dirla con Luciano Capone e Carlo Stagnaro, il cui unico risultato è stato quel che si definisce un fuoco di paglia. Come se non fossimo faticosamente impegnati nella attuazione di un vasto programma di investimenti pubblici e privati (per lo più a debito) che, con ogni probabilità, si protrarrà fino alla fine della legislatura. Come se tutta la storia di questo paese non ci raccontasse – non ci gridasse, per la verità – che con un po’ di spesa pubblica in più si può venire fuori da una fase congiunturale difficile, si può fare fronte all’emergenza ma non si fa crescita. Crescita durevole e sostenuta. Crescita in grado di cambiare, e per il meglio, le prospettive e la vita di tanti.
In questo contesto “grave ma non serio”, pochi, molto pochi, si sono degnati di leggere l’allegato al Dpfp dedicato agli indicatori di benessere equo e sostenibile. Spiccano gli andamenti del tasso di partecipazione al mercato del lavoro e, in particolare, della sua componente femminile, in netto aumento. Andamenti che, unitamente all’andamento positivo dei redditi disponibili pro capite, dovrebbero preludere ad un miglioramento delle condizioni delle famiglie e degli indicatori distributivi (questi ultimi sostanzialmente stabili). Un segnale interessante in questo senso è dato dagli indicatori di povertà. Rimane stabile la povertà assoluta ma ne diminuisce l’intensità: le famiglie in gravi difficoltà economica tendono ad addensarsi sempre più in prossimità della linea di povertà e basterebbe spostare un po’ più in alto il tasso di crescita tendenziale per consentire loro di superarla. Ma questo sarà possibile solo se gli investimenti del PNRR si tradurranno in benefici di lungo periodo (cosa ancora da accertare) e, soprattutto, se restituiremo al settore privato la libertà di movimento da tempo perduta. Libertà di movimento che, naturalmente, ha anche, se non soprattutto, una dimensione burocratica: il PNRR prevede 600 semplificazioni amministrative, il ministro della Funzione pubblica sostiene di averne già realizzate poco meno di 400. I processi di apprendimento prendono tempo e forse, prima o poi, ce ne accorgeremo. Sempre che si tratti delle semplificazioni giuste.

Titubanze europee