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Il Dibattito

Il Nobel che celebra l'innovazione e la tassa Zucman che la punisce

Davide Mattone

La patrimoniale al 2 per cento sui super-ricchi divide: Aghion (neo Nobel) teme sia un freno a startup, innovazione e crescita. Sullo sfondo resta la competitività dell'Ue in affanno e gli ostacoli strutturali europei

Proprio mentre in Francia prende quota la “tassa Zucman” – criticata da molti economisti per il possibile controeffetto di fuga dei talenti e penalizzazione delle startup, in un paese che avrebbe bisogno di più innovazione – il Nobel per l’Economia è stato assegnato chi dell’innovazione fa il perno della produzione: Philippe Aghion. Una coincidenza che invita a chiedersi come questo tipo di ricerche possano tradursi nelle scelte politiche, e che dunque apre il dibatitto.

Da un lato c’è chi, come Gabriel Zucman, invoca una forte patrimoniale (un prelievo del 2 per cento annuo sui patrimoni netti oltre i 100 milioni di euro) per ragioni di equità fiscale e per ridurre il deficit francese. Ma, come già argomentato sul Foglio, la patrimoniale non è una scorciatoia per tagliare il debito: la via maestra resta la riduzione della spesa pubblica. Inoltre, secondo  più economisti, tra ottimizzazioni fiscali e fughe all’estero il gettito reale sarebbe inferiore del 50 o 75 per cento rispetto ai 20 miliardi promessi. Dall’altro lato, economisti come Aghion (studioso del concetto di “distruzione creatrice” per cui ha vinto il Nobel) pongono l’innovazione al centro del dibattito, e temono che un simile prelievo finisca per soffocare le nuove imprese e frenare la crescita futura. E non si tratta di riflessi conservatori: Aghion è un economista liberal-progressista, vicino al Partito socialista e consigliere economico dei presidenti francesi François Hollande e Emmanuel Macron.  In questa prospettiva, la tassa Zucman rischierebbe di essere un freno potente. Colpirebbe infatti in pieno l’ecosistema delle startup. Prendiamo Mistral AI: unicorno parigino che sviluppa modelli linguistici, e valutato circa 12  miliardi pur senza utili. Tassarne ora il valore atteso, prima che generi profitti, equivale a una doppia imposizione: sul valore oggi e sui profitti di domani.

Aghion e Zucman si sono affrontati in un confronto pubblico il 17 settembre al France Digital Day. Aghion è stato  critico: “Il problema della tua tassa è che include lo “strumento di lavoro” – ossia azioni e quote di startup  – nell’imponibile. Se avvii un’azienda molto valorizzata non sei un ricco: non hai redditi”. E ha aggiunto, rivolto a Zucman: “Se viene imposta solo in Francia, trasformi il paese in una prigione fiscale e ne abbatti l’attrattività”. Per Aghion il rischio è perdere il treno dell’innovazione  scoraggiando imprenditori che “non hanno ancora realizzato nulla” e spingendoli a cedere quote a investitori esteri. Zucman ha ribattuto che su 1.800 contribuenti colpiti solo poche decine (soprattutto startup tech) avrebbero problemi di liquidità. Poi la proposta che appare più come una confisca: in assenza di utili, i proprietari potrebbero cedere quote anche allo stato tramite un fondo sovrano, “così da beneficiarne tutti quando l’azienda produrrà utili”; oppure prendere prestiti.

Un’ipotesi che Aghion respinge: “Stai sparando una pallottola nel piede della Francia proprio quando dovrebbe svegliarsi”, ha insistito il neo Nobel, convinto che una patrimoniale congegnata così arrechi più danni che benefici. Non è una difesa dei ricchi, ma un richiamo a non colpire il motore dell’innovazione. Aghion non esclude di chiedere di più ai grandi patrimoni. Propone, per esempio, un contributo mirato sui patrimoni eccezionalmente elevati (oltre 5 miliardi) o una stretta sulle holding familiari usate per ottimizzare il carico fiscale. Si dice persino aperto a reintrodurre una forma di patrimoniale generale (il vecchio Isf di Hollande), purché disegnata con attenzione.

Il tema si intreccia con il problema della scarsa competitività europea. Nel 2024 al Collège de France discussero degli ostacoli strutturali europei l’ex premier Mario Draghi insieme a Macron e allo stesso Aghion: scarsi investimenti in innovazione e produttività, eccesso di burocrazia e di norme  e risparmi che non si trasformano in capitale produttivo. Ostacoli che rallentano la crescita e richiedono interventi decisi e rischi da prendere. Gli “spillover”  e l’apertura al cambiamento non sono solo teoria astratta, ma possono essere guide concrete. Una patrimoniale mal tarata rischia di soffocare sul nascere i futuri campioni europei, specie in settori strategici come l’AI. E’ la logica della “distruzione creatrice” che ha valso il Nobel ad Aghion: lasciare emergere nuove imprese e tecnologie perché dal ricambio nasce la crescita. Favorire l’innovazione significa accettare delle forti frizioni di mercato e perfino l’accumulazione di ricchezza da parte degli innovatori, a condizione che però alimenti nuovi investimenti e progresso.