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La Crisi Francese

La crisi politica francese è figlia della crisi finanziaria. I sintomi? Deficit e pensioni

Luciano Capone

Il premier francese Lecornu si è dimesso dopo nemmeno un mese. Tra instabilità politica e pensioni insostenibili, la Francia avrebbe bisogno di una legge Fornero per ridurre la spesa pubblica

Il primo ministro Sébastien Lecornu si è dimesso dopo meno di un mese, in quello che è stato il governo più breve della storia della Quinta Repubblica. La Francia, che Emmanuel Macron convochi dopo appena un anno nuove elezioni anticipate o tenti l’ennesimo esecutivo di minoranza, va verso il sesto governo in due anni. 

Ma la profonda crisi politica del paese è nulla rispetto alla mancanza di consapevolezza della grave crisi fiscale: deficit fiscale tra il 5 e il 6 per cento, il più alto dell’Eurozona, e un debito pubblico crescente che è più che raddoppiato rispetto al pil nell’ultimo ventennio. In questo contesto, la richiesta principale della società e della politica francese è tornare indietro sulla riforma delle pensioni del 2023, peraltro del tutto insufficiente. 


Il panorama politico francese sembra quello italiano del 2017-2018, quando Lega e M5s si facevano concorrenza promettendo di sfasciare i conti pubblici, con il risultato di un’impennata dello spread (a proposito, ieri il rendimento dei titoli di stato francesi ha finalmente raggiunto quello dei Btp italiani).


Il  Rassemblement national di Marine Le Pen e Jordan Bardella,  che è dato in netto vantaggio nei sondaggi con un consenso superiore al 30 per cento, sostiene l’abrogazione della riforma delle pensioni introdotta dal governo macroniano di  Élisabeth Borne con l’obiettivo di riportare l’età pensionabile a 62 anni. Lasciando da parte l’estremismo della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon che invece vuole abolire due riforme delle pensioni riportando l’età pensionabile a 60 anni (prima, cioè, della riforma del 2010), la cosiddetta sinistra riformista non sta tanto meglio. Il segretario del Partito socialista Olivier Faure, la forza che cioè dovrebbe impedire l’arrivo dell’estrema destra al governo o peggio ancora alla presidenza, propone esattamente la stessa cosa di Marine Le Pen: Faure aveva condizionato il sostegno al governo all’abrogazione della riforma delle pensioni entro la fine dell’anno. L’illusione socialista è che con la “tassa Zucman” si possa risanare il bilancio imponendo una superpatrimoniale ai super-ricchi, e per giunta aumentando le uscite (in un paese che ha la spesa pubblica al 57 per cento del pil).


 Il problema della riforma delle pensioni del 2023, semmai, è che è del tutto insufficiente rispetto alla dinamica demografica per rendere il sistema sostenibile. In fondo aumenta l’età pensionabile di soli due anni, portandola a 64 anni, gradualmente fino al 2030.  Ma non basta ad aggiustare gli squilibri. L’Fmi segnala che il sistema francese ha tuttora davanti tre sfide cruciali: lo scarso tasso di attività degli anziani, il pensionamento anticipato e il crescente numero di anni trascorsi in pensione. Il tasso di occupazione delle persone tra 55 e 64 anni, ad esempio, in Francia è del 61,7 per cento nel 2023, a fronte del 76 per cento in Germania e di una media Ue del 67 per cento. L’età media di uscita dal mercato del lavoro era nel 2022 di 60,7 anni per gli uomini e 62,2 anni per le donne (63,7 e 63,4 anni in Germania). Mentre la media stimata di anni in pensione è di 26,1 anni per le donne e 23,3 anni per gli uomini, una durata superiore di 3 e 5 anni rispetto alla media Ue. Peraltro, i pensionati francesi godono in media di un tenore di vita superiore a quello della popolazione generale.    


Tra i grandi paesi europei, la Francia ha la spesa pensionistica attorno al 14 per cento, seconda solo all’Italia (oltre il 15 per cento), e anche i contributi sociali più alti d’Europa al 28 per cento (sempre dopo l’Italia al 33 per cento). Ma l’Italia, a differenza della Francia, una riforma incisiva delle pensioni l’ha fatta nel 2011 (legge Fornero) e, nonostante i vari tentativi di annacquarla, l’impatto è evidente: secondo i dati dell’Fmi,  dal 2010 al 2022 la spesa pensionistica in Francia è cresciuta del 17,7 per cento in termini reali, un tasso quattro volte superiore al 3,8 per cento dell’Italia.


La Corte dei Conti francese, che peraltro è presieduta dall’ex ministro dell’Economia Pierre Moscovici (socialista come Faure), in rapporto al governo segnala come i conti previdenziali siano destinati a deteriorarsi nonostante la riforma del 2023: il deficit previdenziale – ora pari a 6,6 miliardi di euro – è previsto salire a 15 miliardi di euro annui nel 2035 e a 30 miliardi nel 2045 (al netto dell’inflazione, ovviamente). In un’altra analisi, la Corte dei conti francese ha anche valutato l’impatto del sistema pensionistico sull’occupazione e la competitività, mostrando come da un lato l’aumento dell’età pensionabile dal 2010 in poi abbia aumentato il tasso di occupazione degli over 55 e come, dall’altro, l’eccessivo peso del sistema previdenziale possa contribuire ad aumentare il costo del lavoro e rallentare l’innovazione (e quindi la crescita).


Un sistema del genere è insostenibile, oltre che iniquo. La politica francese, e la società  più in generale, pensa di poter negare il problema attraverso l’atto di un nuovo governo, magari benedetto da nuove elezioni. Ma la realtà è più forte della semplice volontà politica.
 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali