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Conti pubblici

L'economia Usa sembra andare bene, ma i problemi restano

Lorenzo Bini Smaghi

I rendimenti sui titoli di stato americani a 10 anni sono saliti di 20 punti. Nonostante il buon andamento del comparto azionario, il mercato continua però a essere preoccupato soprattutto dell’inflazione e del debito pubblico che non smette di crescere

"Noi economisti dovremmo guardarci allo specchio” ha recentemente titolato il capo economista di uno dei più grandi fondi americani. Aggiungendo: “E’ da nove mesi che ci sbagliamo”, soprattutto nel prevedere una recessione negli Stati Uniti, che invece non arriva. Anzi, gli ultimi dati rivisti sulla crescita americana, che indicano un tasso annualizzato del 3,8 per cento nel secondo trimestre, mostrano che oltre Atlantico l’attività economica non sta risentendo negativamente delle misure commerciali restrittive adottate dall’Amministrazione Trump. Le probabilità di recessione in America sono state riviste al ribasso oramai da tutte le banche d’affari, sotto il 20 per cento. Secondo alcune stime recenti, ad esempio della filiale di Atlanta della Riserva federale, il pil potrebbe addirittura accelerare al 3,9 per cento nel terzo trimestre. Il rallentamento nella creazione di posti di lavoro registrato negli ultimi mesi sembra essere più il frutto del calo dell’immigrazione che di un effettivo affievolimento della crescita. In base a questi dati, l’economia americana appare più resiliente del previsto.

 

La conferma di questo scenario pone tuttavia un problema soprattutto alla Banca centrale americana. Dopo il taglio di 25 punti base deciso all’inizio di settembre, quasi all’unanimità, con il solo voto contrario del nuovo nominato Stephen Miran che voleva una riduzione maggiore, si era prospettata l’ipotesi di almeno altre due riduzioni dei tassi d’interesse entro la fine dell’anno e forse altre ancora all’inizio del 2026. Tuttavia, un’economia più robusta, con un’inflazione che rimane ben superiore al 2 per cento, non giustifica altri tagli dei tassi, semmai nuovi aumenti.

 

In effetti, un ulteriore allentamento delle condizioni monetarie potrebbe, in queste condizioni, tradursi in una inflazione ancora più elevata nel giro di qualche mese. Il deprezzamento del dollaro contribuisce anch’esso all’aumento dei prezzi importati. Un’inversione di rotta da parte della Riserva federale rischia di scontrarsi innanzitutto con il Presidente degli Stati Uniti, che continua a fare pressione per ottenere tassi d’interesse più bassi per stimolare ancor di più l’attività economica. Il tentativo di far dimettere Lisa Cook, membro del Comitato esecutivo, è stato per ora bloccato dalla Corte Suprema, che ha rinviato la decisione a gennaio 2026. Ma la pressione rimane elevata. L’altro problema rischia di arrivare dai mercati finanziari, che contano su tassi più bassi per sostenere le quotazioni record raggiunte nelle scorse settimane. Una revisione al rialzo delle aspettative sui tassi d’interesse potrebbe alimentare vendite massicce con forti ribassi delle quotazioni azionarie. Quanto sopra induce comunque a valutare con prudenza i dati più recenti. Cambiare opinione è ragionevole, soprattutto quando cambiano i fatti, come ricordava Keynes. Cambiare opinione troppo spesso, tuttavia, può far perdere credibilità. 

 

E’ vero che alcuni dati americani sono migliori del previsto e segnalano una certa resilienza, sostenuta soprattutto dai consumi e dagli investimenti in nuove tecnologie. Si tratta tuttavia di statistiche che riguardano il secondo trimestre, ossia fino alla fine di giugno. Le decisioni sui dazi sono state prese in agosto e stanno entrando in vigore solo ora. Bisogna dunque aspettare qualche evidenza in più prima di dare giudizi definitivi e cambiare idea riguardo all’impatto delle politiche economiche della nuova Amministrazione. I recenti dati sulle esportazioni europee verso gli Stati Uniti mostrano un calo nel corso dell’estate, che dovrebbe riflettere un rallentamento della domanda interna. Anche gli indicatori di fiducia dei consumatori sono in forte calo. La chiusura degli uffici scatenata in questi giorni dal shutdown dell’Amministrazione pubblica tenderà a peggiorare il clima complessivo di fiducia.

 

Un aspetto interessante è la divaricazione della performance del mercato del lavoro e del potere d’acquisto tra varie classi di reddito americane. Si osserva, in effetti, un continuo deterioramento delle condizioni economiche delle classi meno abbienti – tra le quali si trovano peraltro molti elettori si Trump – mentre quelle più facoltose sembrano beneficiare del buon andamento della borsa e dei recenti tagli fiscali. Si registra anche una divergenza di risultati tra le aziende tecnologiche e aperte al mercato globale rispetto ai settori più tradizionali che cominciano ad incontrare difficoltà. Non è chiaro fino a quando l’evoluzione divergente di queste varie categorie potrà sostenere l’insieme dell’economia americana. Rispetto a un anno fa, i rendimenti sui titoli di stato americani a 10 anni sono saliti di 20 punti, quelli a 30 anni di 50 punti. Ciò conferma che, nonostante il buon andamento del comparto azionario, il mercato continua a essere preoccupato soprattutto dell’inflazione e del debito pubblico che non smette di crescere.

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