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Il Documento

Dazi, Cina e incertezza: il governo chiede all'Ue di fare squadra

Davide Mattone

Il Dpfp fotografa un 2025 in cui la crescita (0,5 per cento) viene da casa: export netto in negativo e l'euro forte toglie margini. Il Mef auspica una Bce più accomodante con maggiori tagli (improbabili prima del 2026)

Insieme leva e rischio per l’economia italiana, occhio vigile e realismo: è così che il governo inquadra il commercio globale nel Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp) 2025. Il Dpfp è la cornice con cui il Mef aggiorna scenari macroeconomici e predispone la manovra per il triennio 2026-2028. Il governo evidenzia due forze opposte sull’economia italiana: da un lato dazi, frammentazione, e maggiore competizione – con attenzione alla Cina - che frenano scambi e aumentano l’incertezza. Dall’altro, una maggiore consapevolezza dell’importanza della domanda interna, con un ciclo monetario meno restrittivo incentiva investimenti e consumi. 

La tesi del Dpfp è che la struttura dei dazi si sta assestando, ma la politica commerciale resta un terreno scivoloso. Non a caso, la traiettoria italiana è appesa soprattutto al mercato domestico, mentre l’apporto della domanda estera netta è negativa e flette il pil di 0,7 punti nel 2025 e di 0,4 punti nel 2026. Risultato: una crescita del pil dello 0,5 per cento questanno e dello 0,7 l’anno prossimo. Rispetto alle stime del Fmi (+0,8 per cento) e della Commissione Ue (+0,9), il dato indica l’ormai proverbiale prudenza del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

L'accordo Ue-Usa è il seguente: un’aliquota unica fino al 15 per cento, e dazi nulli per certi beni. Secondo il Mef, è un quadro meno duro del temuto, ma pur sempre protezionista. La simulazione macro – la stima modellistica della reazione a uno shock – inclusa nel Dpfp mostra comunque un costo in termini di pil: per l’Italia la deviazione dallo scenario base è di -0,1 nel 2025, -0,5 nel 2026, -0,4 nel 2027, -0,2 nel 2028. Negli Stati Uniti l’urto è più immediato per poi riassorbirsi (-0,7 nel 2026 ma nullo nel 2028). 

E’ infatti questo il canale di trasmissione dei dazi: si alzano i prezzi d’importazione, incidendo sui volumi. Ciò può propagarsi lungo le catene globali del valore (i passaggi della produzione tra più paesi) quando colpiscono i beni intermedi (le componenti), generando costi più alti e colli di bottiglia. I flussi commerciali possono poi rimescolarsi con la cosiddetta trade diversion, spostandosi verso mercati con barriere minori. 

Il focus Cina occupa diverse pagine, e non è un caso. Per il Mef la Cina manterrà una forte pressione competitiva sull’industria manifatturiera italiana ed europea. I sussidi industriali cinesi sono circa il 2 per cento del loro pil, e si traducono in sovraproduzione, che preme sui prezzi e sulle quote di mercato globali. Negli ultimi anni Pechino ha eroso terreno sull’Europa: è diventata competitiva in 60 settori in cui l'Italia detiene un vantaggio comparato. Per l’Italia il 2024 si è chiuso con un surplus cinese superiore a 34 miliardi. 

In questo contesto, riconoscendo la stagnazione complessiva dell’economia europea, il Mef chiede alla Bce “un quadro di tassi più accomodante”, ma ulteriori tagli entro la fine del 2025 sono poco probabili. Il contrappeso al nuovo scenario globale deve dunque arrivare dalla domanda interna e dagli investimenti (per esempio, su segmenti a più alto contenuto tecnologico), con l’Ue chiamata a rafforzare  il mercato unico e la competitività. 

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