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I Dati

I dilemmi di Lagarde (Bce) sull'inflazione. Bene l'Italia, meno Spagna e Germania

Davide Mattone

Tra tassi, dazi e l’inflazione che risale. Francoforte fa i conti con un’Europa a più velocità

Christine Lagarde, presidente della Bce, parlando a Helsinki, alla Bank of Finland, ha ribadito che la politica monetaria della Banca Central Europea “si trova in un buon posto”. A inizio settembre, durante l’ultima conferenza stampa di politica monetaria, aveva infatti annunciato che il processo disinflazionistico della Bce è finito. Chiaramente, per evitare ritorsioni dei mercati, non ha preannunciato futuri ritocchi sui tassi.

In questo quadro, fatto di prudenza politica e di attenzione agli effetti sulle catene del valore, e sui mercati finanziari, la Bce deve scegliere attentamente ciascuna delle prossime mosse. Secondo le valutazioni dell’istituto, per il momento, è improbabile che l’inflazione si discosti in modo marcato dal target del 2 per cento.

Francoforte, però, deve fare i conti con un’Europa che va a velocità diverse. In Germania l’inflazione è risalita al 2,4 per cento a settembre dal 2,1 di agosto. In Spagna l’Instituto Nacional de Estadística registra un’inflazione del 2,9 per cento a settembre con un aumento congiunturale dello 0,2. L’Italia, secondo l’Istat, l’inflazione è confermata all’1,6 per cento sull’anno. L’Estonia ha registrato il tasso d’inflazione più alto, pari al 5,2 per cento, seguita da Croazia e Slovacchia, entrambe al 4,6 per cento. Da Lussemburgo, invece, gli ultimi dati di Eurostat stimano l’inflazione dell’area euro al 2,2 per cento, con servizi in aumento del 3,2 per cento e alimentari del 3,0. Il costo in discesa dell’energia continua ad abbassare l’indice, ma a settembre è diminuito solo dello 0,4 per cento dopo il ‑2,0 di agosto (su base annuale). 

Per la Bce il dilemma nei prossimi mesi sarà questo: mantenere fede al mandato del 2 per cento, senza influenzare negativamente paesi che stanno appena ritrovando equilibrio. Per l’Italia, tra I più esposti all’export, un errore di sincronizzazione della politica monetaria sarebbe costoso: i dazi più pesanti e l’euro forte (cresciuto del 13 per cento rispetto al dollaro da gennaio) già riducono i margini e e l’export. Secondo delle stime di luglio di Confindustria, ogni punto percentuale di dazi statunitensi erode un miliardo di dollari di esportazioni italiane. Per fortuna, l’inflazione è (al momento) sotto controllo.

L’ultimo dato sull’inflanzione dell’area euro (al 2,2 per cento) somiglia dunque più a un dosso lungo il percorso, che a un cambio di direzione: l’energia non trascina più come prima, ma il cuore dell’inflazione (o meglio, “core inflation”, ossia al netto di energia e alimentari, che hanno prezzi più volatili) resta fermo al 2,3 per cento. La Bce dovrà valutare attentamente le prossime mosse, perché “quel buon posto non è fissato per sempre”, dice Lagarde. Specialmente in un clima in cui da un giorno all’altro Trump, in un mondo guidato dal principio del diritto del più forte, può aumentare i dazi per “motivi di sicurezza nazionale”, come fatto per i farmaci la scorsa settimana.

Lagarde ha segnalato la scelta europea di non aver messo in atto manovre ritorsive in risposta ai dazi commerciali  dall’Amministrazione Trump. In pratica: prudenza, anche a costo di apparire remissivi. Questa strategia “ha ridotto il rischio che l’aumento dei dazi sulle importazioni possa spingere l’inflazione al di sopra del livello di base”. Da un lato vuol dire che i rischi di un’accelerazione dei prezzi restano contenuti e, dall’altro, questa situazione ha consentito alla Bce di tagliare i tassi di 100 punti base da dicembre, attutendo l’impatto internazionale senza compromettere l’obiettivo di inflazione a medio termine. Tutto sommato, per il momento, non è andata male. “Possiamo trarre conforto dal fatto di aver superato un forte choc inflazionistico dopo la pandemia e dal modo in cui l’economia ha finora affrontato uno sconvolgimento nelle relazioni commerciali”

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