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Conti pubblici

La vera svolta sulle tasse: indicizzare per legge limiti fiscali e sociali all'inflazione

Marco Leonardi e Leonzio Rizzo

Solo così si restituirebbe agli italiani ciò che è stato sottratto da anni di rincari e immobilismo normativo. La “mareggiata” dell’inflazione non può diventare una scusa per prosciugare in silenzio i benefici destinati alla classe media

Negli ultimi anni di inflazione elevata la pressione fiscale italiana è aumentata anche senza l’introduzione di nuove tasse. La dinamica è sottile ma potente e si articola su due fronti. Non ci sono solo i limiti degli scaglioni delle aliquote IRPEF che sono rimasti invariati, ci sono anche le soglie per cui si ha diritto a detrazioni e deduzioni fiscali, anche esse non indicizzate. Dall’altro lato le soglie ISEE, per cui si ha diritto a ricevere un determinato servizio o un sussidio, non sono anch’esse indicizzate. Ciò ha provocato in questo periodo di elevata inflazione, che si è registrata soprattutto nel periodo 2022-2024, una forte diminuzione del reddito disponibile della classe media.

 

Per il primo tema relativo alle imposte pagate ne abbiamo già ampiamente discusso su questo giornale, facendo notare come siano state drenate molte più risorse di quanto poi restituite tramite la riforma Irpef. Il secondo, fronte finora poco discusso, porta anch’esso ad una diminuzione del reddito reale disponibile, poiché un semplice aumento nominale del reddito, dovuto ad un recupero, quasi sempre parziale, della perdita di potere di acquisto, causa la perdita di benefici relazionati alla soglia ISEE di appartenenza. Questo è un problema che riguarda soprattutto la classe media che rischia con l’aumento del reddito nominale di non poter più fruire di servizi a cui prima aveva diritto. Anche questo è fiscal drag silenzioso, di fatto un aumento d’imposta che non compare nei provvedimenti di legge ma che pesa quanto una manovra. Un paradosso che ha favorito i conti pubblici, ma a spese di milioni di famiglie. Gli esempi concreti sono tanti e riguardano lavoratori di tutti i livelli di reddito, dal più basso al più alto. Mense scolastiche. Nel Comune di Bologna (un comune come mille altri) oltre i 35 mila euro di ISEE non c’è alcuna agevolazione per le tariffe della mensa di infanzia, elementari e medie; oltre i 50 mila euro niente punteggio aggiuntivo per le graduatorie dei nidi. Dal 2021 al 2024 l’inflazione è stata di oltre il 17%, ma le soglie sono ferme: se fossero state indicizzate, il limite per la mensa supererebbe oggi i 41 mila euro e quello per i nidi sfiorerebbe i 58 mila.

 

Allo stesso modo il bonus bollette, il bonus nido, i contributi agli abbonamenti per il trasporto pubblico, tutti dipendono dall’ISEE che è rimasto invariato mentre l’inflazione correva. La decontribuzione per le madri lavoratrici dipendenti del settore privato con figli a carico funziona fino a un reddito di 40 mila euro lordi. Azzera i contributi a carico della lavoratrice e quindi vale circa il 9% della retribuzione lorda, quindi fino a 3600 euro. Ma se la sventurata ha avuto il rinnovo del CCNL ed è passata da un salario di 39 mila a uno di 41 mila, perde tutto. Si chiama trappola della povertà. Assegno unico. Il minimo si applica sopra i 45.939 euro di ISEE. Adeguando al carovita, la soglia per l’importo minimo sarebbe quasi 54 mila euro, con un beneficio diretto per le famiglie numerose. Pensione complementare. Si parla da anni di incentivarla, ma il tetto di deducibilità per i contributi volontari è fermo a 5.164,57 euro l’anno: la stessa cifra fissata quando ancora c’era la lira. Se fosse stata indicizzata, oggi sarebbe vicina ai 10 mila euro, raddoppiando il vantaggio fiscale per chi risparmia per la vecchiaia. Questi mancati adeguamenti valgono miliardi: uno storico regalo allo Stato, che incassa più imposte e riduce la spesa per agevolazioni senza varare alcuna legge impopolare. Il risultato è che il ceto medio – dipendenti, autonomi, giovani coppie – perde potere d’acquisto e servizi, mentre il bilancio pubblico si gonfia in silenzio. In questo contesto la proposta del ministro Salvini di “correggere” l’ISEE escludendo il valore della casa di proprietà è una distrazione. Toglie dal calcolo un pezzo di ricchezza, distorcendo la fotografia reale delle famiglie e favorendo chi possiede immobili di pregio. Il problema non è l’ISEE in sé, ma il fatto che le soglie restano congelate mentre i prezzi e i redditi nominali crescono. Allo stesso modo la proposta di Durigon di destinare il TFR alla possibilità di anticipare i requisiti di pensionamento rischia di danneggiare la previdenza complementare invece di incentivarla.

 

Se davvero si vuole sostenere il ceto medio occorre una scelta diversa: indicizzare per legge i principali limiti fiscali e sociali – dalle deduzioni per pensione complementare alle fasce ISEE – almeno all’inflazione ufficiale subita in questi ultimi anni. Solo così si restituirebbe agli italiani ciò che è stato sottratto da anni di rincari e immobilismo normativo. La “mareggiata” dell’inflazione non può diventare una scusa per prosciugare in silenzio i benefici destinati alla classe media. Altro che modificare l’ISEE per chi possiede case di valore: la vera riforma equa è agganciare tutto all’inflazione e ridare respiro a chi lavora e paga le tasse senza scappatoie.

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