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L'Intesa
Il patto Trump-Milei, tra affinità ideologica e interessi geopolitici
Ideologia e geopolitica. L’aiuto degli Stati Uniti all’Argentina è un pezzo della sfida con la Cina
Il solo annuncio, come ogni whatever it takes che funziona, ha già prodotto i suoi effetti. “L’Argentina è un alleato sistematicamente importante degli Stati Uniti in America Latina – aveva dichiarato lunedì Scott Bessent – e il Tesoro Usa è pronto a fare ciò che è necessario all’interno del suo mandato per sostenere l’Argentina”. Le azioni argentine hanno recuperato in borsa, il peso si è rafforzato e lo spread è crollato. Ieri, a New York, dopo l’Assemblea delle Nazioni Unite il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e dell’Argentina Javier Milei si sono incontrati per definire i termini dell’assistenza finanziaria americana: “Milei ha il mio completo appoggio – ha detto Trump – Aiutiamo l’Argentina, ma non credo abbiano bisogno di un salvataggio: hanno fatto un lavoro fantastico”. In ogni caso, ancor prima di conoscere i dettagli e le modalità operative, l’accordo politico ha fermato la corrida che rischiava di travolgere Milei prima delle elezioni parlamentari di ottobre.
La crisi di fiducia, da parte di investitori internazionali e risparmiatori argentini, è divampata nelle ultime settimane. Da un lato ci sono incertezze sulla sostenibilità del piano di Milei che, nonostante gli enormi progressi sul fronte della riduzione dell’inflazione (dal 290 per cento interannuale al 34 per cento) e del consolidamento dei conti pubblici (surplus di bilancio partendo da un deficit del 5 per cento), ha un tallone d’Achille nella scarsità di dollari: Milei ha ereditato una Banca centrale con riserve nette negative, che ha ricapitalizzato con un prestito del Fmi da 20 miliardi di dollari, ma ha evitato di accumulare nuove riserve per dare priorità alla riduzione dell’inflazione sostenendo il valore del peso in chiave elettorale. Questa debolezza si è trasformata in incertezza, e poi paura, dopo l’inaspettata e pesante sconfitta del 7 settembre nelle elezioni della provincia di Buenos Aires: la prospettiva del ritorno dei peronisti ha fatto fuggire gli investitori stranieri e convinto gli argentini a comprare dollari prima di una nuova svalutazione. In soli tre giorni, per difendere il tasso di cambio arrivato al tetto della banda di oscillazione concordata con il Fmi, la Banca centrale ha bruciato 1,1 miliardi di dollari. L’appoggio di Trump ha fermato l’emorragia, consentendo a Milei di arrivare in una situazione di tranquillità alle ben più determinanti elezioni legislative del 26 ottobre in cui si rinnoveranno metà del Congresso e un terzo del Senato.
Ma perché Trump aiuta l’Argentina? C’è sicuramente un’affinità politica e personale con Milei, ma la scommessa degli Stati Uniti ha soprattutto ragioni geopolitiche. Sullo sfondo c’è sempre la competizione con la Cina.
L’Amministrazione Trump considera Milei il suo alleato strategico nella regione e l’Argentina uno snodo cruciale per arginare la penetrazione di Pechino nel continente americano. Un dato evidenzia l’interesse di Washington: ad aprile, al culmine del caos sulle tariffe, il segretario al Tesoro Bessent fece il suo primo viaggio a Buenos Aires proprio per manifestare il suo sostegno al piano di riforme pro-mercato del governo Milei. Pochi giorni dopo, a Buenos Aires è volato anche il comandante del Southern Command degli Stati Uniti, l’ammiraglio Alvin Holsey, che oltre alla capitale ha visitato l’estremità meridionale del paese, la città di Ushuaia in Terra del Fuoco, dove il governo argentino sta costruendo una base militare. Insieme al Canale di Panama, su cui l’Amministrazione Trump è tornata a concentrarsi, è il secondo passaggio intra-oceanico e anche una porta sull’Antartide.
Oltre alla posizione geografica, l’Argentina è anche un paese ricco di risorse. Il petrolio e il gas non convenzionale, soprattutto per lo sviluppo del giacimento di Vaca Muerta, sta avendo uno sviluppo molto rapido: l’Argentina ha annullato il suo storico deficit energetico (ora è esportatore netto) e le previsioni stimano un aumento delle esportazione del 20 per cento annuale che dovrebbe portare a triplicare l’export nel 2030 superando i 35 miliardi di dollari. Ma sono tante risorse minerarie inutilizzate, soprattutto quelle che interessano a Trump nella sfida con la Cina: litio, rame e terre rare.
Il problema ulteriore degli Stati Uniti (anche con l’Amministrazione Biden), è che l’alternativa a Milei è il ritorno al potere del kirchnerismo che, oltre ad aver devastato l’economia argentina, aveva stretto un’alleanza con l’Iran e soprattutto con la Cina (che in questi anni è diventato il secondo partner commerciale di Buenos Aires dopo il Brasile): il governo peronista uscente Fernández-Kirchner aveva annunciato l’adesione dell’Argentina ai Brics, che è stata fermata in extremis dalla vitoria di Milei. L’Argentina, durante una delle sue crisi valutarie, aveva chiesto a Pechino uno swap da 18 miliardi di dollari (che Milei ha mantenuto per 5 miliardi e che, probabilmente, non rinnoverà alla scadenza dopo l’accordo con gli Usa).
In sostanza, l’aiuto di Trump a Milei non è disinteressato e non costa neppure troppo rispetto a cosa c’è in ballo sul piano geopolitico. Ma tutto, o quasi, dipenderà dalle elezioni di ottobre che possono rilanciare il piano di riforme di Milei o definitivamente affondarlo.