
Non solo debito
Oltre Fitch. L'altro rating che conta nel futuro dell'Italia
Stasera il verdetto sul nostro paese. Il rigore sui conti è cruciale. Quello su competitività e demografia anche. Parlano gli economisti Emilio Rossi e Lorenzo Forni
Cresce l’attesa per il verdetto dell’agenzia di rating Fitch che arriverà stasera a mercati chiusi. Un eventuale miglioramento del giudizio sull’Italia (da BBB a BBB+ con outlook positivo) sarebbe una medaglia che il governo Meloni potrebbe appuntarsi al petto dopo avere conquistato la fiducia degli investitori internazionali come si vede dal fatto che lo spread sovrano è sceso a 81 punti base. Ma ci sono anche i meriti di altri soggetti di cui nessuno parla e restano dubbi sulla capacità del paese di promuovere la crescita economica nel lungo periodo. A metterlo in evidenza sono due esperti, Emilio Rossi, senior economic consultant di Oxford Economics, e Lorenzo Forni, capo economista di Prometeia, i quali, in questo ampio colloquio con Il Foglio, cercano di mettere a fuoco le prospettive dell’Italia basate sui fondamentali, aspetti che i mercati finanziari vedono meno perché più concentrati nel breve e medio termine ma che le agenzie di rating sono abituate a valutare. Anche, comunque, la maggiore credibilità conquistata dall’Italia sui mercati, secondo Rossi, non si può ascrivere solo al governo, che pure ha lavorato per migliorare il disavanzo pubblico, ma all’Europa “che ha aiutato i paesi più indebitati sia in occasione del Covid sia con il nuovo patto di stabilità e crescita” e agli italiani “che hanno sopportato un maggiore peso fiscale”. L’esperto di Oxford Economics spiega che in seguito all’aumento dell’inflazione e all’adeguamento dei salari nominali scattato per alcune categorie di lavoratori, c’è stato un adeguamento delle aliquote fiscali che ha generato maggiori entrate per lo stato. E’ il cosìddetto fiscal drag “fenomeno – precisa Rossi – che si è verificato un po’ in tutta Europa, ma che in Italia è stato più accentuato”.
In effetti, gli stipendi non sono rimasti fermi al palo dappertutto, in alcuni settori sono stati adeguati all’inflazione il che ha comportato per i lavoratori l’ingresso in una fascia di reddito più elevata”. Un doppio colpo alla classe media”, aggiunge Forni di Prometeia, che, dunque, è stata messa sotto pressione sia dal caro prezzi sia dai maggiori tributi scattatati con i nuovi scaglioni. “Va detto anche che nel complesso – prosegue Forni – in Italia c’è stato un progressivo miglioramento della compliance fiscale, dovuto a vari fattori, compreso l’adeguamento tecnologico messo in atto dall’Agenzia delle Entrate, per esempio con la fattura elettronica per le partite Iva, che ha dato un contributo decisivo alla riduzione dell’evasione e dell’elusione e generato un aumento del gettito a livello strutturale”.
Nel primo semestre di quest’anno, il Mef ha registrato un aumento delle entrate tributarie pari a 25 miliardi rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. “Ha ragione chi pensa sia avvenuta una sorta di rivoluzione silenziosa, nel senso che questi risultati, sebbene molto positivi, non sono stati messi particolarmente in evidenza”. In sostanza, con il governo Meloni gli italiani hanno pagato più tasse contribuendo alla tenuta dei conti pubblici. A questo si aggiunge lo spazio fiscale recuperato con la discesa dello spread che di fatto, rispetto al quale anno fa, ha dimezzato la spesa dello stato per gli interessi sui btp (si calcolano 10-13 miliardi in meno). C’è tutto questo alla base della capacità dimostrata dall’esecutivo di tenere sotto controllo il rapporto tra debito e pil nonostante la pesante eredità ricevuta dei crediti da soddisfare per il superbonus edilizio. Goldman Sachs, per esempio, stima che il deficit di bilancio dell’Italia continuerà a scendere al di sotto del 3 per cento del pil a partire dal 2026. “Il governo ha fatto certamente passi in avanti – riflette Rossi – ma al momento in Italia non si vede una politica che accompagni una crescita economica strutturale e di lungo termine. Dopo il Covid abbiamo avuto una forte espansione, ma poi siamo tornati allo zero virgola nonostante l’aiuto del Pnrr. Demografia e bassa crescita economica restano due nodi importanti che è evidente non vengano affrontati per ragioni di tipo politico. Non esiste altra soluzione all’invecchiamento e alla decrescita della popolazione se non quella di favorire l’immigrazione. Poi, certo, si può discutere di che tipo di lavoratori vogliamo attrarre e si può scegliere di aumentare la qualità delle competenze professionali che importiamo, ma su questo tema non c’è alcun tipo di dibattito e l’intenzione del governo sembra quella di ridurre e non di aumentare l’arrivo di stranieri”.
L’immigrazione non è proprio il tema che questo governo intende cavalcare per migliorare le prospettive di sviluppo del paese neanche se in ballo c’è una promozione sul rating. “Sul fronte della crescita, invece, si continua a mostrare molta attenzione al settore manifatturiero, ma questo in futuro non sarà più il motore dell’economia. Occorrono politiche per favorire il settore terziario, dei servizi tecnologici e dell’intelligenza artificiale. Sono questi i driver di crescita che nel lungo periodo assicureranno la sostenibilità del nostro debito. Se nei prossimi dieci anni non ci sarà un salto nella produttività continueremo a crescere dello zero virgola. Ma anche di questo si sente parlare poco”.
Poi c’è una questione centrale rappresentata dall’aumento della spesa per la difesa. “La combinazione di debito elevato e crescita bassa rende l’Italia vulnerabile agli choc esterni – precisa Forni – Ora, vero è che l’Italia ha mostrato di essere resiliente di fronte ad eventi avversi grazie a fondamentali solidi, però, il rischio politico può sempre riemergere, come testimonia l’evoluzione negativa che sta avendo la Francia, e comunque il paese deve ancora chiarire tempi e modi con i quali intende affrontare la maggiore spesa militare per la quale si è impegnata a livello Nato e che andrà inevitabilmente a impattare sul bilancio pubblico”. Alla fine, tenuta dei conti e politiche e riforme economiche sono temi che non si possono separare. Per quanto gli operatori di mercato siano ottimisti sull’Italia, non mancano segnali di attenzione. Sempre Goldman Sachs, in una ricerca firmata da Filippo Taddei, spiega: “E’ improbabile che l’aumento della spesa per la difesa e gli aggiustamenti fiscali possano compromettere la traiettoria fiscale italiana, che attualmente appare incoraggiante. Tuttavia, le nostre simulazioni suggeriscono che la riduzione del saldo migratorio netto o il congelamento dell’età pensionabile potrebbero compromettere la stabilizzazione del debito a partire dal 2027”.