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il possibile futuro

Le vendita di Armani è un'occasione per un vero gigante europeo della moda

Stefano Cingolani

Re Giorgio ha lasciato una lista di acquirenti preferiti per la vendita della sua creatura, prevista tra tre anni. La Lvmh di Arnault, EssilorLuxottica, L'Oréal e la Tod's: tutte società straniere. In Italia ci ha provato Mediobanca ma senza successo. Sarà un'altra opportunità persa?

La Armani è in vendita; non subito, fra tre anni, ma affari come questi non aspettano, magari si mettono a punto dopo, in ogni caso c’è già la fila. “Re Giorgio” ha voluto tenere tutta per sé la sua creatura, però sapeva bene di aver toccato il culmine della parabola, più in là da solo non poteva andare. Ha fatto già molto, ma con un fatturato di due miliardi e mezzo di euro la sua società è una eterea danzatrice tra le walkirie del lusso. I soli profitti di Hermès sono almeno il doppio, il giro d’affari circa sette volte tanto, in borsa capitalizza 220 miliardi di euro. Lo sapeva tanto bene il geniale imprenditore, da lasciare nel testamento addirittura una lista di acquirenti preferiti: la LVMH di Bernard Arnault che lo corteggiava da almeno un quarto di secolo, EssilorLuxottica nata dal suo vecchio socio Leonardo Del Vecchio e L’Oréal della famiglia Bettencourt (con la Nestlé secondo azionista sempre in agguato) che fornisce balocchi e profumi. Tutte società straniere, europee, francesi come la stessa EssilorLuxottica che fa capo a una società lussemburghese la Delfin anche se posseduta dagli eredi Del Vecchio e guidata da un manager tricolore (Francesco Milleri). E’ prevista la possibilità di andare in borsa e in questo caso sarebbero della partita i fondi d’investimento soprattutto quelli specializzati nel lusso, come Amundi (anch’esso francese), Catterton (americano), Pictet e Gam (Svizzeri), Permira (inglese), Mayoola (Qatar). Sperando che partecipi all’asta anche qualche serio imprenditore italiano. C’è il rischio che possa finire come Valentino, sballottato di qua e di là, preso alla fine dalla Kering di François Pinault che però ha spostato tutto al 2029. Non solo, in lista d’attesa è anche la Tod’s: i fratelli Della Valle hanno stretto un accordo con Catterton e la famiglia Arnault, che fa capire quale sarà il futuro degli iconici mocassini con tacchetti. Quale futuro avrà la Ferragamo? E le altre? 

Invece di piangere su un nuovo gioiello del Made in Italy in mano straniera dopo Gucci, Bulgari, Loro Piana e via via vendendo, la cessione della Armani può essere un’occasione di risveglio. E’ possibile far nascere una sorta di Lvmh a guida italiana, ma non chiusa naturalmente nei patri confini? Ci vorrebbe una merchant bank che parli bene l’inglese, più un finanziere visionario (i soldi arrivano ce ne sono tanti in giro) e un manager autorevole. Prada, la numero uno in Italia, resta in famiglia. Ma con Armani, Valentino, Tod’s e altre belle in attesa di un buon partito, sarebbe un buon inizio. Come ha cominciato Arnault? Raccogliendo vecchie glorie del capitalismo francese cadute in disgrazia. Partito come immobiliarista, nel 1984 salva il gruppo tessile Boussac che controllava Christian Dior, cinque anni dopo va in aiuto di Henry Racamier presidente della Louis Vuitton che voleva sottrarre alla famiglia Mercier la finanziaria Moët & Chandon e Hennessy. Et voilà, LVMH è fatta. Arnault, ottimo pianista dal repertorio romantico (non si direbbe per un uomo tanto freddo) non ha fatto tutto da solo, lo hanno sostenuto innanzitutto la banca Lazard (sì la storica alleata di Enrico Cuccia), il Crédit Lyonnais e Guinness il gruppo anglo-irlandese della birra interessato all’alcol più che al resto. Il modello è quello, chi vuole, e può, deve solo seguirlo. 


In Italia ci ha provato anche la Mediobanca di Cuccia, ma senza successo: una volta perché perché la Romiti & family non era la guida giusta, un’altra perché i Marzotto si sono squagliati. Pietro il più giovane dei sette figli del conte Gaetano, aveva creato un gruppo pieno di promesse: oltre al lanificio di famiglia aveva assorbito Bassetti, Lanerossi, Hugo Boss, Valentino. Nel 1997 naufraga il grande progetto: fondersi con la HdP guidata da Maurizio Romiti e appena quotata in borsa, che possedeva le attività industriali della finanziaria Gemina come Fila e il Gruppo finanziario tessile. Nel 2003 Pietro propone di allargare la base azionaria, ma la famiglia divisa ormai in una miriade di rivoli si spacca. La HdP era nata con un miliardo di lire a disposizione (516 milioni di euro), più Rizzoli Corriere della Sera, ma tutte le società (Rcs, Fila, Valentino) si rivelano fonti di continue perdite. Quando nel 2000 muore Cuccia, Hdp è soffocata dai debiti. Difficile dire se oggi c’è chi voglia uscire dai cespugli (come li chiama il Censis). Matteo Marzotto e i Garrone stanno mettendo insieme un po’ di aziende, ma sono fornitrici di piccola taglia. La vendita di Armani diventerà un’altra occasione perduta?

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