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L'analisi

Bloccare l'adeguamento delle pensioni rischia di essere insostenibile

Davide Mattone

Con più over 65 e meno crescita, fermare l’adeguamento dell’età di pensionamento pesa 2–3 miliardi in due anni e riduce i margini di sostenibilità. Numeri e prospettive

Roma. Tra consenso e contabilità pubblica passa una linea che si chiama sostenibilità. Le proiezioni della Ragioneria generale dello stato (Rgs) sulle “tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico” la tracciano con nettezza, ma il governo rischia seriamente di oltrepassarla promettendo rinvii e deroghe. Per esempio, Giancarlo Giorgetti (ministro dell’Economia e delle Finanze) e Claudio Durigon (sottosegretario al Lavoro) hanno intenzione di bloccare l’adeguamento dell’età pensionabile (adeguamento automatico, con cadenza biennale, in base all’andamento della speranza di vita rilevato dall’Istat), che dovrebbe teoricamente passare da 67 a 67 anni e 3 mesi. Secondo stime interne dell’Inps il costo di sospensione comporterebbe un aggravio di 2-3 miliardi nel biennio. E nella maggioranza, ma anche nell’opposizione, c’è chi vorrebbe trasformare la sospensione nella cancellazione definitiva del meccanismo automatico, con un costo che a regime sarebbe di decine di miliardi di euro.

Il punto è che, per proiettare con matita e righello la politica nella realtà, basta leggere il rapporto della Rgs. Un esercizio fatto di numeri, ipotesi e condizionalità, e che dice una cosa semplice e scomoda. Sì, la spesa pensionistica italiana (tra le più alte dell’area euro in rapporto al Pil, circa il 15,4 per cento nel 2023-24, e 15,3 nel 2025) è sostenibile nel lungo periodo. Ma le stesse proiezioni ricordano che l’Italia invecchia e restringe la base attiva. L’indice di dipendenza degli anziani (quanti over 65 ogni cento persone in età da lavoro) passa dal 39 per cento del 2025 al 61,5 per cento nel 2040, e resta attorno al 60 per cento fino al 2070.

Per reggere l’urto, la Rgs mette in fila premesse chiare: primo, un tasso di fecondità che risale appena, dall’1,20 del 2023 a circa 1,44 nel 2070, ma in realtà nel 2024 il trend è ancora decrescente, scendendo a 1,18. Secondo, una speranza di vita che cresce fino a 85,8 anni per gli uomini e 89,2 per le donne nel 2070; e per questa ragione il meccanismo di adeguamento è garanzia di sostenibilità. Terzo, un saldo migratorio netto sostanzioso, vicino a 240 mila persone l’anno nel triennio 2025–27 e poi stabilizzato a 165 mila nel lungo periodo. E quarto, una crescita del Pil reale senza promettere miracoli: circa +0,7 per cento medio annuo fino al 2070. 

La dinamica che la Rgs descrive non è di certo un’ode all’austerità. Il rapporto tra la spesa per le pensioni e il Pil dovrebbe continuare a salire fino al picco del 17,1 per cento nel 2040. Questo, spiega la Rgs, perché le coorti del “baby boom” escono dal lavoro e perché il denominatore, ossia il Pil, non aumenta proporzionalmente. Non solo: secondo la Rgs, questo dato è soltanto parzialmente compensato dall’adeguamento dell’età pensionabile. In breve, nemmeno quello basterà. Anche se, per finire in dolcezza, la Rgs prevede una discesa del rapporto pensioni/Pil fino al 15,9 per cento nel 2050 e al 14,0 nel 2070. Questo, secondo il rapporto, sarebbe invece l’effetto combinato del metodo contributivo pienamente a regime, dell’adeguamento automatico dell’età pensionabile e, soprattutto, di un mercato del lavoro più largo e produttivo. E’ qui che la politica inciampa. Invece di presidiare le condizioni che rendono sostenibile la spesa e far sì che un aumento della produttività smetta di essere un miraggio, ci si concentra su scorciatoie di consenso che erodono i vantaggi di longevità lavorativa della legge Fornero, con l’illusione di far felici tutti e subito. E se l’adeguamento automatico è impopolare, lo si congela: salvo poi chiedersi perché i conti non tornano e chi debba metterci la differenza.

Lo studio della Rgs presenta dunque un percorso niente affatto scontato, ma uno scenario con obiettivi tuttora difficili da raggiungere: accettare che l’età di pensione si adegui alla speranza di vita, che si inverta il declino della natalità, che l’immigrazione sia una leva economica più che un terreno di scontro politico, e che la produttività torni un obiettivo concreto. Il resto è propaganda politica. E la propaganda politica, a bilancio, pesa.

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